L’industria casearia italiana ripensa alcuni prodotti tradizionali in chiave multiconfessionale e sugli scaffali dei supermercati  ormai si  trova latte halal (termine che indica gli alimenti “leciti” secondo la dottrina dell’Islam) e formaggi a pasta dura prodotti con caglio vegetale (i soli consentiti nella dieta dei fedeli di religione musulmana, ebrea e induista).

È la risposta alle esigenze di una clientela in costante aumento e la fotografia di un’Italia che cambia, ma rimane sempre la stessa: quella dei caseifici familiari e delle cooperative del latte fresco di giornata.     

 

Uno dei “nuovi” prodotti è il laban, il latte fermentato halal made in Italy. Per convincerci ad acquistarlo Ibrahim che gestisce la macelleria Da Soussi a Torino ci ride su e dice un po’ scherzando : «Se lo bevete appena svegli vi fa passare la sbronza della sera prima». Dal banco indica una confezione nel frigo appoggiato al muro. «È ricco di vitamine e vi rimette in forza per la giornata», assicura il commerciante mentre ordina al suo aiutante di sistemare il pane arabo appena arrivato.

Nella macelleria non c’è solo carne halal, tagliata seguendo i precetti della legge islamica, ma anche cous cous, tè, fave e tanti prodotti occidentali. Tutto è avvolto da un profumo di menta, lo stesso che odora le vie di Porta Palazzo.

 

L’integrazione, se c’è, passa per questo quartiere di Torino, famoso per il mercato all’aperto più grande d’Europa. Proprio qui, una decina di anni fa, è nata l’idea del latte per musulmani, il laban, utilizzato come bevanda rigenerante e anche in cucina mescolato al  cous-cous cotto a vapore. «In passato io e mio fratello Laoussine lo importavamo dalla Francia», racconta Ibrahim. «Poi ci siamo detti: perché non produrlo direttamente in Italia?».

 

La risposta l’hanno trovata nella vicina Grugliasco, sede del caseificio Abit. «Siamo stati affiancati dai due commercianti nella messa a punto della ricetta», racconta Anna Lucia D’Alessio, addetta alla qualità della cooperativa che nel 2004 si è fusa con la marchigiana Trevalli Cooperlat.

La responsabile spiega: «È una lavorazione semplice, solo latte e fermenti, ma dovevamo capire quali enzimi era lecito utilizzare». Il prodotto ha ottenuto l’ok di Halal Italia. «La nostra certificazione ha un carattere religioso» dice Halima Erika Rubbo, attiva nella promozione dell’alta qualità dei prodotti islamici made in Italy. La giovane impiegata aggiunge: «Così un musulmano è sicuro che quello che mangia non sia contaminato da sostanze proibite».

 

A Torino, secondo una recente ricerca del Comitato interfedi del Comune, circa 80 mila persone hanno un nome che rimanda a origini in Paesi islamici. In pratica, un abitante su nove del capoluogo. Un mercato che potrebbe avere numeri importanti.

«Per ora siamo sulle 3 mila bottiglie prodotte al giorno, anche se durante il periodo del Ramadan questi valori raddoppiano», spiega il direttore di Abit Pietro Cernesi che, spulciando i dati, aggiunge: «Il laban occupa circa il cinque per cento della nostra produzione».

 

Una nicchia destinata ad allargarsi: la fetta di potenziali clienti musulmani è stimata in circa 4 milioni di persone, circa tre volte e mezza quella del comparto biologico. Il business non riguarda solo le piccole realtà industriali. In primavera  Granarolo ha lanciato il Laben Oro, un prodotto che ha letto il cambiamento in atto nella società e che potrebbe modificare anche i consumi più tradizionali. Il  latte fermentato sembra piacere anche agli italiani e chi lo ha assaggia dice che ricorda gli yogurt fatti in casa. Come una volta…

 

Ma non c’è solo il latte. A rinnovarsi è anche un’altra colonna del tempio caseario: il formaggio. La novità passa per l’utilizzo del caglio d’origine vegetale anziché animale, una novità che permetterà anche ai vegetariani di consumare questo prodotto.

 

Da Villafalletto, in provincia di Cuneo, le Fattorie Fiandino hanno lanciato sul mercato il “Gran Kinara”. Si tratta di un prodotto semigrasso la cui lavorazione è quella tipica del Parmigiano Reggiano o Grana Padano ma che utilizza un coagulo d’origine selvatica, estratto dai fiori della Cynara cardunculus, il cardo che cresce in tutto il bacino del Mediterraneo.

La scelta dell’azienda di utilizzare questa pianta risale ai primi anni ’50, quando Magno Fiandino tentò di coagulare il latte munto nell’alpeggio in valle Stura utilizzando i fiori del cardo. Fu una prima esperienza dettata da povertà e necessità. Ma l’intuizione ritorna mezzo secolo più tardi con un prodotto innovativo, stimato e, manco a dirlo, certificato halal. Un’innovazione che tocca anche il Nordest: nel Vicentino la ditta Soster propone il “Pasta dura” con caglio «naturale».

 

E se le novità arrivano anche dalle terre più tradizionali del parmigiano Doc vuol dire che qualcosa nel mercato si muove.

In provincia di Parma, al caseificio Pongennaro di Soragna, schierate a maturare nell’umido e nella nebbia della bassa, stanno le forme di “Verdiano”, un nuovo formaggio a pasta dura prodotto con «caglio d’origine vegetale» di cui, tuttavia, non è stato possibile ottenere chiarimenti puntuali sulla provenienza.

 

Un formaggio nato quasi per caso. «Ero in treno verso Roma», racconta Gisella Pizzin, veterinaria e docente presso l’Università di Parma. «Nel mio vagone c’era una delegazione di indiani che come me andava a Cibus, il salone internazionale dell’agroalimentare. Uno di loro, che poi ho scoperto essere il presidente della Camera di commercio di Nuova Delhi, mi ha chiesto: “Sapresti fare un prodotto simile al parmigiano ma senza l’utilizzo del caglio animale?”».

E lei, Gisella, dopo averci pensato un attimo ha detto: «Perché no?». Dal 2005 con l’Università di Parma ha cominciato a sperimentare in laboratorio questo prodotto in collaborazione con il caseificio Pongennaro. Sette anni dopo, nel 2012, è nata la prima forma di “Verdiano”.

«Questa iniziativa è animata da uno spirito che unisce modernità e tradizione», spiega Renato Mondi, il presidente del caseificio. Che aggiunge: «Si è pensato al rispetto della filiera produttiva: per dieci giorni utilizziamo lo stabilimento per produrre solo questo tipo di formaggio, in modo che non entri in contatto con prodotti considerati proibiti».

 

La risposta del mercato non si è fatta attendere. «Hanno chiamato ebrei russi, musulmani e indiani», dice compiaciuto Mondi. Consapevole anche di un altro beneficio: «In questo modo abbiamo differenziato la nostra produzione. Non facciamo più e solo parmigiano reggiano. E questo è un bene: perché evitiamo di superare la quota permessa e raggiungiamo lo stesso dei buoni profitti».

 

Questi prodotti sono la conferma che la ricerca e l’innovazione stanno portando la filiera casearia a rispondere ai bisogni di una società in evoluzione. Sono il racconto di un’Italia che cambia, e con lei i prodotti della sua tradizione: si aprono al mondo, come il mercato di Porta Palazzo di Torino, per riscoprirsi più italiani che mai.

 

Edoardo Malvenuti e Davide Lessi

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sara
sara
14 Dicembre 2012 13:55

Penso di puntualizzare correttamente nel suggerire un titolo diverso, più che vegetariani sono i vegani che per scelta non vogliono/possono mangiare derivati animali. I vegetariani invece escludono dalla loro dieta solo carne e pesce.

Valeria Nardi
Valeria Nardi
14 Dicembre 2012 14:31

Gentile Sara,
il caglio animale è ottenuto dallo stomaco del vitello lattante, e quindi implica lâ