farmaci veterinari

Negli Stati Uniti, circa l’80% degli antibiotici prodotti non viene usato nell’uomo ma negli animali da allevamento. Nel 2013 nelle stalle e nei capannoni di tutto il mondo sono state profuse 131 mila tonnellate di questi farmaci, un quantitativo triplo rispetto a quello utilizzato dagli umani, destinato a salire all’iperbolica cifra di 200 mila tonnellate entro il 2030, se non si interverrà al più presto. A quel punto le specie batteriche resistenti saranno ancora più diffuse, e morire per una banale infezione sarà assai più probabile di oggi anche per le persone che vivono nei paesi come l’Italia, dove l’impiego è permesso solo in caso di stretta necessità.

È drammatico l’appello lanciato dalle pagine di Science dai ricercatori delle università di Princeton, Cambridge e del Politecnico di Zurigo sull’impiego degli antibiotici negli animali destinati al consumo umano, a conclusione di uno dei primi studi attendibili mai effettuati sull’argomento a livello globale, anche se i dati riguardano solo i 38 paesi del mondo per i quali sono disponibili numeri ufficiali. I motivi della crisi sono noti: la continua folle tendenza all’aumento del consumo di carne nei paesi emergenti e l’insufficiente diminuzione in quelli più ricchi; la conseguente importazione delle tecniche di allevamento intensivo da parte di paesi come la Cina; la mancanza di alternative praticabili su larga scala. Questioni globali, cui non è facile dare una risposta utile.

maiale allevamento
Gli autori ipotizzano un limite massimo di antibiotici fissato a 50 mg/kg da imporre in tutti i paesi Ocse

Per questo gli autori non si sono limitati a lanciare l’allarme, ma hanno fatto un po’ di conti per quanto riguarda possibili interventi da mettere in atto subito, ovunque, in attesa di atti quali l’imposizione di un limite massimo per tutti, per esempio quello di 50 milligrammi di antibiotici per chilo di carne prodotta nei paesi OCSE, che farebbe diminuire la quantità di farmaci nelle carni del 60%.

In attesa di accordi internazionali assai difficili da raggiungere, gli autori pensano che se si imponesse una tassa pari al 50% del prezzo attuale degli antibiotici, il consumo di farmaci diminuirebbe del 31%. In più la nuova imposta darebbe un gettito compreso tra 1,7 e 4,6 miliardi di dollari, da destinare alla ricerca di nuovi antibiotici e di metodi alternativi di allevamento. Inoltre, se il consumo medio di carne restasse attorno ai 165 grammi pro capite al giorno – e negli Stati Uniti oggi è 260 grammi al giorno – anche l’impiego di farmaci risulterebbe assai inferiore (del 20%). Se poi si combinassero questi tipi di interventi, il crollo sarebbe drastico: meno 80%.

L’uso globale di antibiotici negli animali destinati all’alimentazione umana entro il 2030 (Fonte: Science Magazine)

In un’intervista rilasciata alla stessa rivista, uno degli autori, Thomas Van Boeckel dell’ETH di Zurigo, ha ricordato che oggi nessuno sa quanto siano diffuse le resistenze batteriche, ma già nel 2013 uno studio pubblicato su JAMA Internal Medicine ha dimostrato come il germe antibiotico-resistente più pericoloso, lo stafilococco aureo resistente alla meticillina o MRSA, risulti aumentato del 30% negli abitanti prossimi ad allevamenti di suini o a campi fertilizzati con letame di maiale, rispetto a chi vive in aree lontane dalle porcilaie.

È indispensabile agire al più presto, a partire dal fatto che tutti i paesi devono dichiarare quanti antibiotici utilizzano nei loro allevamenti, per continuare con le campagne dedicate alla riduzione del consumo di carne, oltretutto necessaria per tutelare la salute di milioni di persone colpite da patologie quali diabete e obesità. Vanno, inoltre, introdotte misure per scoraggiare allevatori e veterinari dall’impiego di farmaci in animali sani, senza che nessuno possa prevederne le conseguenze a lungo termine.

In Italia qualche segnale positivo si inizia a vedere: nel 2017 Coop ha messo in vendita, segnalandolo con uno specifico bollino, pollame e uova allevato senza antibiotici e ha dichiarato di voler gradualmente eliminare – tranne in caso di reale, urgente necessità – gli antibiotici da tutte le sue filiere, a cominciare da quelli più usati anche nell’uomo.

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