Una tassa sullo zucchero analoga a quelle su alcol o tabacco. La chiedono, dalle pagine della rivista Nature, un neuroendocrinologo e due esperte di politica sanitaria dell’Università della California a San Francisco. Gli esperti attribuiscono allo zucchero – in particolare a quello aggiunto a cibi industriali – buona parte di responsabilità nella crescente diffusione nel mondo di malattie croniche come diabete, patologie cardiovascolari e cancro.

 

Non è certo la prima volta che lo zucchero finisce sul banco degli imputati: basti ricordare la pubblicazione, già trent’anni fa, del libro Puro, bianco ma nocivo, del fisiologo inglese John Yudkin. Da allora, il dibattito attorno a questo alimento non ha mai conosciuto tregue: «Fa male, anzi malissimo e va evitato perché provoca diabete e obesità». «Non va demonizzato: è comunque un alimento importante come fonte energetica, specie per il cervello». In effetti, la soluzione è semplice: basta non eccedere, non sarà certo il cucchiaino di zucchero nel caffè o una pasta golosa addentata di tanto in tanto a ucciderci.

È vero però che nelle società industrializzate (e in crescendo anche nei paesi in via di sviluppo) lo zucchero è sempre più facilmente disponibile e a basso costo. Per dirla con Robert Lustig, Laura Schmidt e Claire Brindis, gli autori del commento su Nature la natura ci ha dato lo zucchero, ma lo ha reso poco disponibile, mentre l’uomo lo ha reso un alimento facilissimo da ottenere e consumare.

 

Oggi molti prodotti confezionati contengono zuccheri aggiunti (sotto forma di saccarosio, sciroppo di glucosio e fruttosio) e si stima che negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei in media più di 500 calorie al giorno per persona derivino proprio da questi.

La pervasività sociale è solo uno degli aspetti negativi che, come nel caso di alcol e tabacco, giustificherebbero per i tre esperti misure di regolamentazione del consumo di zucchero. Gli altri sono la tossicità, la possibilità di abuso e l’impatto negativo sulla società.

 

Esiste una quantità crescente di dati a sostegno di un effetto negativo dello zucchero sulla salute. In particolare, faciliterebbe l’insorgenza di una serie di condizioni associate alla sindrome metabolica, come l’ipertensione o la resistenza all’insulina. «Sembra inoltre che il fruttosio possa avere sul fegato un effetto tossico paragonabile a quello dell’alcol – scrivono – e non è una sorpresa, considerato che l’alcol proviene proprio dalla fermentazione dello zucchero». E ancora: poiché è gratificante si presta all’abuso, e prendendo per buone le conseguenze a larga scala sulla salute, è ovvio che i costi sociali sono notevoli.

Da qui la richiesta di porre un freno al consumo di alimenti ricchi di zuccheri aggiunti, a partire dalle bibite (soft drinks, ma anche bevande sportive e cioccolata liquida al latte). Lustig, Schmidt e Brindis avanzano varie proposte.

 

Anzitutto la tassazione diretta, come si è cominciato a fare di recente in alcuni paesi. Il problema, però, è quanto tassare: «Negli Stati Uniti si sta considerando la possibilità di imporre una tassa di 34 centesimi di dollaro per litro, che farebbe aumentare il costo di una lattina di 10-12 centesimi. Troppo poco per scoraggiare l’acquisto». Secondo alcuni modelli matematici per far calare i consumi il prezzo a lattina dovrebbe almeno raddoppiare.

Un’altra possibilità – che si è rivelata efficace per alcol e fumo – è quella di ridurre la disponibilità dei prodotti in questione, limitando gli orari o i luoghi di vendita o la fascia di popolazione che può acquistarli. Insomma: niente bibite zuccherate nelle scuole o niente soft drink per i minori di 17 anni.

 

Altre strategie potrebbero essere più generali: incentivare la diffusione di punti vendita di cibi salutari (per esempio i farmer’s market) e l’acquisto di questi cibi da parte delle fasce di popolazione più disagiate. E, naturalmente intervenire sulle aziende, cosa tutt’altro che semplice: «Lo zucchero è economico, è buono e si vende, per cui i produttori sono poco incentivati a cambiare», affermano Lustig, Schmidt e Brindis. Una mano, però, potrebbe darla l’Fda (Food and Drug Administration), l’agenzia federale che regolamenta alimenti e farmaci: «Rimuovere il fruttosio dalla lista dei cosiddetti Gras (Generally Regarded as Safe), le sostanze ritenute sicure, indicherebbe chiaramente una precisa volontà di cambiamento».

Valentina Murelli

foto: Photos.com

 

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Dario
Dario
6 Febbraio 2012 16:04

Perchè tanto odio nei confronti degli zuccheri semplici? Questo sito critica le posizioni del nutrizionista Franco Berrino e poi celebra l’ipotesi di rimuovere il fruttosio dalla lista delle sostanze alimentari ‘Generally Considered As Safe’. Non sarebbe meglio ritrovare un pò d’equilibrio, basato sulla scienza e l’esperienza? La scienza nutrizionale raccomanda diete varie ed equilibrate senza esclusioni preconcette, e l’esperienza atavica mostra come in essa possano trovare spazio anche un pò di zucchero o miele o fruttosio. Basta non esagerare, nè nei consumi nè nelle teorie estremiste!

Valentina Murelli
Valentina Murelli
7 Febbraio 2012 07:59

Gentile Dario, il sito non celebra affatto l’ipotesi di rimuovere il fruttosio dalla lista dei Gras, ma si limita a riportare l’opinione sul tema di tre esperti, come pubblicata su una rivista scientifica di notevole rilievo per la comunità scientifica internazionale.
Come lei dice giustamente, e come abbiamo riportato nell’articolo, lo zucchero in sé non è da demonizzare, ma è chiaro che un suo consumo eccessivo può avere conseguenze pericolose per la salute. Proprio per contrastare questo consumo eccessivo da parte della popolazione generale, i tre esperti avanzano le loro proposte.

anna
anna
28 Febbraio 2012 08:12

Evviva la stevia! Dilcifica 300 volte più dello zucchero ( quindi ne basta pochissima) esistono studi scientifici che la scagionano da effetti collaterali dannosi e il principio dolcificante è resistente alle alte temperature. Una valida alternativa al saccarosio.