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Una dieta sana è economicamente accessibile a tutti i livelli della popolazione?

Una dieta sana deve essere  economicamente accessibile a tutti i gruppi di cittadini? La domanda è al centro del dibattito sia negli Stati Uniti sia in altri Paesi industrializzati. In Italia, il Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) è stato tra i primi a evidenziare criticamente il problema attraverso la pubblicazione della Doppia Piramide 2012.

Se da un lato si afferma che per vivere in salute è indispensabile consumare almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, preferire cereali integrali, carni magre e limitare il consumo di alimenti ad alto contenuto energetico (che oltre ad avere un’elevata quantità di grassi saturi spesso presentano una qualità nutrizionale molto bassa), non è scontato che tutti possano fare queste scelte.

 

Lo stesso BCFN ne ha discusso ultimamente durante un Simposio organizzato con la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). In Italia è stato dimostrato che, seguendo le linee guida della dieta Mediterranea, la spesa per l’alimentazione quotidiana risulta economicamente accessibile e può costare meno se paragonata a una dieta iperproteica.

 

Negli Stati Uniti la questione è più complicata. Alcuni studi hanno dimostrato un’associazione inversa tra reddito e tasso di obesità o indice di massa corporea, evidenziando una presenza maggiore di obesi  tra le persone con salario più basso. Moltissimi individui hanno inoltre difficoltà a seguire dei regimi alimentari sani  e questo comporta tassi di malattie legate all’alimentazione più alti rispetto alle persone con reddito  elevato.

 

A determinare questo triste fenomeno concorrono diversi fattori (abitudini alimentari, motivazione a mangiare meglio, livello di educazione, accesso al cibo salutare, tempo e capacità per cucinare pasti più bilanciati da un punto di vista nutrizionale, ecc.), ma senz’altro uno dei più importanti è il costo del cibo.

 

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Il costo di una dieta sana dipende dall’unità di misura: per calorie o per porzione?

Adam Drewnowski, direttore del Nutritional Science Program presso l’Università di Washington, è probabilmente uno dei massimi esperti sul rapporto tra il cibo sano e la sua effettiva accessibilità economica. In diversi studi portati avanti negli Stati Uniti, Drewnowski sostiene che il costo per una caloria di: pesce, carne magra, frutta, verdura e cereali integrali è mediamente più elevato rispetto a quello per i cibi ad alto contenuto energetico (come quelli dei fast food o processati). Questo dimostra     perché le persone più ricche seguono soprattutto regimi alimentari corretti, mentre la popolazione più povera consumi mediamente diete di scarsa qualità nutrizionale e a basso costo. Basti pensare che in quest’ultima fascia della popolazione solo il 18% dichiara di mangiare le cinque porzioni al giorno di frutta e verdura raccomandate.

 

Il Dipartimento di Agricoltura statunitense (USDA) ha pubblicato uno  studio (“I cibi salutari sono realmente più costosi? Dipende da come si misura il prezzo”)  che pone l’attenzione sull’unità di misura utilizzata. Se, come nella ricerca di Drewnowski, si usa la metrica del costo per caloria, allora la verdura può arrivare a costare 4 dollari per 100 calorie. Se invece si impiega come riferimento il costo per ogni grammo di prodotto commestibile, allora il prezzo di una porzione media risulta inferiore a un dollaro e mezzo.

 

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Le diete low-cost non considerano le abitudini alimentari degli americani come il consumo di succhi di frutta

USDA da diversi anni promuove il Thrifty Food Plan (letteralmente Piano Alimentare Economico) per dimostrare che le diete salutari possono essere seguite da qualsiasi livello sociale di  cittadini. Seguendo i consigli del piano, basato sulle linee guida americane per una corretta alimentazione,  una famiglia di quattro persone di reddito basso riesce a spendere per mangiare non più di 638 dollari (dati riferiti a ottobre 2013). Considerando che il 25% delle famiglie statunitensi guadagna meno di 30 mila dollari l’anno, si tratta di una cifra abbastanza rilevante. L’altro elemento evidenziato da Drewnowski è che questi piani prevedono il consumo di alcuni alimenti poco diffusi (legumi o cereali integrali) senza  considerare  le reali abitudini alimentari degli americani (nei piani il consumo di alcune bevande molto diffuse negli Stati Uniti, come succhi di frutta e latte intero è ridotto a zero.) In sostanza è teoricamente possibile creare delle diete salutari low-cost, ma sono poi difficili, richiedono diverso tempo per essere cucinate e non tengono conto delle reali abitudini a limentari della popolazione.
 

Ludovica Principato

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Foto: Photos.com

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alex
alex
30 Novembre 2013 15:37

Questo articolo non fa che confermare quello che pensavo.E’ ovvio che chi ha più soldi può permettersi prodotti di qualità,così come per le cure mediche,e quindi una vita migliore.Un’esempio sono i prodotti biologici;quante persone possono permettersi soprattutto di questi tempi di spendere di più per un prodotto più sano,ma troppo costoso?.Ogni giorno che passa sento sempre che più persone che acquistano a causa della crisi nei discount dove non tutti i prodotti sono sicuri(la Coldiretti ha specificato che dietro molti di questi prodotti spesso si nascondono ricette modificate, ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi,e presenza di aflatossine, residui chimici,OGM,ad esempio mozzarelle,pomodori,miele,pane,riso,ecc.)I soldi non danno la felicità,ma almeno aiutano a vivere meglio.

Roberto La Pira
Reply to  alex
1 Dicembre 2013 11:12

Alex , in parte quello che dici è vero ma citare Coldiretti non è proprio un buon esempio di fonte sempre attendibile!