Dopo i limiti alla pesca del tonno rosso e l’eterna battaglia contro la caccia alla foca e alla balena, s’intravede una nuova sfida per la tutela delle riserve ittiche. Il tiro dell’arpione ambientalista questa volta si orienta verso la “eco-label” gestita da Marine Stewardship Council. Questo organismo indipendente di certificazione – incaricato di attestare che la pesca è stata realizzata in armonia con i principi di sostenibilità, oltreché di assicurare la tracciabilità dei prodotti ittici – è accusato di aver rilasciato alcune « eco-label » a imprese di pesca non al di sopra di ogni sospetto.

L’inchiesta, pubblicata sul quotidiano britannico «The Guardian», trae spunto da un’articolo della rivista “Nature” a firma del direttore della ricerca all’università della Columbia britannica (Canada), Daniel Pauly, e di cinque membri della “Scripps Institution of Oceanography”. Tra le decisioni controverse di “Marine Stewardship Council” – che ha da poco celebrato il decimo anniversario e il centesimo certificato – l’attribuzione del sigillo MSC alla pesca del merluzzo antartico, una specie ancora poco studiata dagli scienziati della quale è ancora impossibile valutare lo stato delle riserve.

Le accuse riguardano anche altre certificazioni, con la “eco-label” di MSC, relative alla pesca di:

– tonno e pesce spada al largo delle coste degli Stati uniti;

– nasello in Alaska, da parte della più grande pescheria certificata del pianeta, in un’area (lo stretto di Bering) ove    gli  stock sono diminuiti del 64% tra il 2004 e il 2009;

– nasello in Oceano Pacifico, ove la popolazione è crollata dell’89% a partire dal 1989,

– krill (piccolo crostaceo della specie Euphausiacea) nell’Antartico.

 “I consumatori sono ingannati quando pensano di acquistare specie di pesce la cui popolazione si certifica essere mantenuta a un livello corretto”, afferma Richard Page di “Greenpeace oceani” (link http://www.greenpeace.org/international/en/campaigns/oceans). Le decisioni di certificare queste pescherie può compromettere gravemente la credibilità di MSC tra i cui fondatori, si ricorda, c’è il WWF. 

La difesa di MSC, nell’assicurare la serietà delle proprie valutazioni scientifiche che permetterebbero di verificare la sostenibilità delle attività di pesca certificate, è messa in discussione anche dalla “Turtle Island Restoration Network”, una ONG statunitense il cui rappresentante Chris Pincetich, biologo marino, ha dichiarato a The Guardian : “MSC è determinato ad accettare le candidature di centinaia di pescherie in tutto il mondo, per far crescere le loro imprese e il loro fatturato”.

E non è finita: “Entro dieci anni, MSC coprirà un decimo delle catture mondiali sulla quasi totalità delle specie pescate in tutti i mari del mondo”, sostiene il consulente Stéphan Beaucher. ”Ha soppiantato tutti gli altri tentativi di etichettatura [della pesca sostenibile, ndr] e va ora a certificare imprese di pesca che sono lontane dall’essere esemplari”.

La “prova di sostenibilità” dell’attività di pesca sinora adottata da “Marine Stewardship Council” deve essere quindi riveduta e aggiornata, alla luce dei commenti di autorevoli accademie, istituti oceanografici e ONG. A pena di vedere vanificati gli sforzi di dieci anni di attività e di perdere la fiducia dei consumatori, ma anche degli operatori economici e delle istituzioni. Innalzare gli standard, o prepararsi a scomparire come le specie ittiche che si affermava di voler proteggere.

 

Dario Dongo

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