Gli Omega 3 sono le star della prevenzione cardiovascolare non farmacologica, i protagonisti di diete e supplementi e sono considerati  apportatori di benefici a tutto campo. Ma davvero questi acidi grassi sono così virtuosi?

Quando si vuole rispondere a questa domanda basandosi sui numeri si scopre che la situazione è meno netta del previsto, e uno studio appena pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition lo mostra chiaramente.

Mia Sadowa Vedtofte e i suoi colleghi della Research Unit for Dietary Studies dell’Institute of Preventive Medicine di Copenhagen, in Danimarca, hanno analizzato il consumo di Pufa (gli acidi grassi omega tre di derivazione animale), di acido linoleico e di acido alfa linolenico (entrambi di origine vegetale) in quasi 3.300 uomini e donne residenti nella zona di Copenaghen e tenuti sotto osservazione per più di 23 anni.

Durante questo arco di tempo circa 470 partecipanti, inizialmente in buona salute come tutti gli altri, hanno sviluppato una malattia cardiaca, ma in nessun caso è stato possibile dimostrare l’esistenza di un’associazione tra consumo di Omega 3 e patologie cardiovascolari, nella popolazione maschile; le differenze tra chi ne assumeva di più e chi meno e l’incidenza di infarti e ictus non erano significative.

Diverso il discorso per quanto riguarda le donne: tra loro l’effetto è stato visibile, ma solo in parte. Le partecipanti che avevano assunto ogni giorno 11,2 grammi di omega tre avevano avuto una diminuzione del 38 % del rischio cardiovascolare rispetto alle donne che ne avevano assunto quotidianamente 0,2 grammi.

I numeri, tuttavia, vanno osservati con attenzione. Sempre secondo Vedtofte, l’apporto medio giornaliero, nell’arco dei 23 anni, è stato pari a 1,2  grammi al giorno nelle donne e 1,6 grammi negli uomini, un valore più elevato rispetto a quello riportato in altri studi; risulta pertanto chiaro che la protezione su cuore e vasi è stata conseguita soltanto da donne che ogni giorno assumevano una quantità decisamente alta di Omega 3, e che lo facevano per lunghi periodi.

La Food and Drug Administration statunitense  dal 2004 sponsorizza l’assunzione di omega 3 a scopo preventivo, precisando  che le prove sono indiziarie e non conclusive. Inoltre suggerisce che l’apporto giornaliero non sia superiore ai tre grammi, non più di due dei quali derivanti da supplementi, un quantitativo ben al di sotto degli 11,2 grammi delle donne danesi che hanno partecipato alla prova.

Nonostante tutto ciò, non sembra ancora giunto il momento per una revisione delle indicazioni sugli Omega 3. I motivi sono diversi e sono  evidenziati da esperti che hanno commentato lo studio danese, come Alice Lichtenstein, direttore del Cardiovascular Nutrition Laboratory della Tufts University: i benefici apportati dalla carne di pesce probabilmente sono dovuti a più fattori che agiscono in sinergia con gli Omega 3, e in ogni caso è sempre molto azzardato attribuire a un solo elemento della dieta un’azione specifica sulla salute.

Ma c’è di più. Secondo Lichtenstein trasmettere oggi il messaggio secondo cui si può anche rinunciare al pesce, significherebbe probabilmente fare un passo indietro di anni e indurre i consumatori ad aumentare nuovamente la quantità di carne nella dieta, con effetti molto negativi.

Nel frattempo è in corso, sempre negli Stati Uniti, il grande studio VITAL che dovrebbe stabilire, su un campione di oltre 20.000 persone, se supplementi di acidi grassi PUFA e Omega 3 abbiano o meno un effetto protettivo verso malattie cardiache, ictus e tumori in soggetti sani, e altri studi stanno verificando l’azione degli acidi grassi in persone con una storia di cardiopatia.

Agnese Codignola

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