Di ritorno dal cammino di Santiago di Compostela, ho assaggiato i Caprichos de Santiago, dolci tipici della zona simili ai nostri biscotti Brutti ma buoni. Da quando vi leggo, però, ho preso l’abitudine a consultare le etichette per capire meglio come sono fatti i prodotti, e non sono sicura che l’etichetta dei biscotti sia corretta. La prima curiosità era sapere quante mandorle siano state impiegate, e quest’informazione manca…

Manuela.


L’etichetta è la carta d’identità degli alimenti e dovrebbe fare capire al consumatore quali sono le caratteristiche del prodotto, prima della prova-assaggio, attraverso la lista degli ingredienti e le indicazioni sugi componenti che lo caratterizzano.

 

I Caprichos – come i biscotti Brutti ma buoni italiani – si distinguono dal punto di vista organolettico e del valore, per la presenza delle mandorle. In gergo tecnico si dice che le mandorle sono “l’ingrediente caratterizzante”. Di conseguenza, anche a prescindere dalla loro raffigurazione in etichetta, la percentuale delle mandorle utiizzare deve comparire nella lista ingredienti.

 

Nell’elenco presente sulla confezione le mandorle si trovano al primo posto e ciò significa che sono l’ingrediente più utilizzato. La lista deve venire compilata in ordine decrescente di peso, a partire cioè dal componente che conta di più in termini di quantità, e via a seguire.

 

Ma non basta: ogni qualvolta che un ingrediente caratterizza il prodotto – perchè viene fotografato sulla confezione o richiamato nella pubblicità (anche solo attraverso le immagini), o anche semplicemente perché è abitudine associarlo – la quantità va indicata in percentuale nelle diciture. Secondo una regola stabilita da ben 33 anni in Europa, da ultimo confermata nel reg. UE 1169/2011!

 

Dario Dongo

Foto: Photos.com

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monica mimangiolallergia
monica mimangiolallergia
19 Giugno 2012 08:38

Buongiorno Dottor Dongo.
Mi rivolgo a Lei, perché è un esperto di etichettatura e sebbene la questione non riguardi un alimento, ma il suo imballo, magari potrà aiutarmi a saperne qualcosa di più.
Si tratta del film di cui il Suo collega Luca Foltran ha parlato in questo articolo, molto interessante: http://ilfattoalimentare.it/packaging-plastica-biodegradabile-siero-latte.html. Tra tante domande, ce n’è una a cui mi piacerebbe dare una risposta. Non è ancora stato brevettato, ma come pensa l’azienda di informare il consumatore allergico? Perché dovrà avvertirlo che l’imballo contiene siero di latte, o no? Magari questo film è stato realizzato con un siero "idrolisato", come avviene nel caso di latti speciali per bambini superallergici, e quindi ha perso il suo potere allergizzante, ma dall’articolo purtroppo questa informazione non si evince… Grazie per l’attenzione e complimenti per l’egregio lavoro svolto:)