“The great food robbery, how corporations control food, grab land and destroy climate” è il titolo dell’ultimo saggio in lingua inglese pubblicato dalla Ong internazionale Grain, alla quale il Parlamento svedese ha conferito il “2011 Right Livelihood Award” – noto anche come il premio Nobel alternativo – proprio in virtù del suo impegno nella denuncia delle enormi acquisizioni di terre nei Paesi in via di sviluppo da parte di investitori stranieri.

 

Perché insistere? Il land grabbing è la più grave minaccia al sostentamento delle popolazioni e colpisce non solo chi viene ora deportato dalle terre dei suoi avi, ma anche i discendenti che non potranno più farvi rientro. “No Land, No Food”. Ogni altra questione – dalla non-brevettabilità delle sequenze genetiche di Madre natura al rispetto della biodiversità o la sostenibilità delle produzioni – non può prescindere dal fondamento, la disponibilità della terra.

 

Think global, act locally. La corsa alle terre ha subito una micidiale accelerazione, solo negli ultimi due anni, 60-80 milioni di ettari (pari a circa la metà delle aree rurali dell’intera UE). Ciò accade in Africa soprattutto, in Paesi ove la vita e i suoi diritti sono privi di riconoscimento, valgono nulla. I movimenti locali per la difesa delle terre sono sopraffatti con la violenza, l’unica chance è quella di fare sapere al mondo che cosa sta succedendo a casa loro. La soluzione può forse trovarsi andando a cercare chi sta dietro queste rapine delle terre, chi le orchestra e ne trae beneficio. In attesa che UE e USA anzitutto introducano l’applicazione delle Linee Guida FAO sulla gestione responsabile di terreni, foreste e bacini idrici come conditio sine qua non per qualsiasi accordo internazionale di libero scambio e partnership commerciale.

 

Who’s Who. Una delle parti più interessanti dell’intero libro è quella in cui si spiega chi sono “the new farm owners”. Ed ecco le prime sorprese: i veri protagonisti non sono operatori dell’agro-business ma gestori di fondi speculativi d’investimento, hedge funds, fondi pensione e grandi banche. Chi mette le mani sulle terre altrui, senza badare all’impatto sulle popolazioni che le detenevano, spesso ha poca o nessuna esperienza in agricoltura. Sono i giocatori della finanza il cui diktat, “ricco presto”, tende a tradursi nello sfruttamento intensivo dei campi attraverso mono-colture intensive che contribuiscono al loro ulteriore inaridimento nel medio termine.

 

Win-Win. Il dibattito sull’eventuale condivisione di obiettivi è perciò illusorio, laddove le popolazioni locali vengono di fatto private di ogni diritto sulle loro terre e queste vengono sfruttate al di là dei loro limiti biologici e di ogni ragionevolezza. Tra l’altro si utilizzano modalità inadatte a risolvere il problema reale della crescente scarsità degli approvvigionamenti e delle risorse. Eppure, il leit-motiv del win-win continua a giustificare politiche internazionali tese a mediare gli interessi dei grandi speculatori con quelli delle loro vittime. Nell’interesse di chi? Provare a immaginare o, meglio, approfondire.

 

Dario Dongo

 

Per l’acquisto del libro, in versione online o cartacea, www.pambazukapress.org