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Negli Stati Uniti sono stati pubblicati i nuovi criteri per gli studi scientifici sui interferenti endocrini

I perturbanti o interferenti endocrini sono sostanze ubiquitarie, diffuse in moltissimi settori merceologici – anche negli alimenti – ma finora gli studi volti a stabilirne la pericolosità per la salute umana sono stati spesso contraddittori. Infatti i dati, ottenuti con tipologie diverse di esperimenti e con analisi mirate, provenivano da animali e uomini, ma anche da studi di popolazione fatti a posteriori, complicati dalla simultanea presenza di molte altre sostanze dagli effetti biologici spesso sconosciuti. Questi difetti hanno reso i risultati deboli, a volte discutibili sul piano metodologico e vulnerabili di fronte agli argomenti di chi nega che essi siano associati a rischi gravi. Anche per questo le National Academies of Sciences, Engineering and Medicine statunitensi hanno appena reso note le nuove indicazioni che la US Environmental Protection Agency (EPA) sarà tenuta a rispettare da ora in avanti, al fine di giungere finalmente a conclusioni affidabili.

Il documento si articola in tre parti. Una prima parte relativa alla sorveglianza, che deve tenere conto delle segnalazioni, della letteratura scientifica e delle informazioni provenienti da fonti meno tradizionali – come gli stessi consumatori –, in modo che qualunque effetto sospetto sia intercettato prima possibile e debitamente analizzato. Una seconda sulle analisi e gli studi, che devono partire da revisioni sistematiche dei dati esistenti per approdare a nuove ricerche, volte a colmare i gap esistenti oggi tra i diversi lavori svolti negli anni scorsi. Infine un’ultima parte dedicata all’azione, che si deve concretizzare nell’aggiornamento continuo delle informazioni disponibili e dei sistemi di indagine utilizzabili, al fine di mettere a punto metodi sempre più efficaci.

Il documento sugli interferenti endocrini è diviso in tre parti: sorveglianza, analisi e studi e, infine, azione

Per fare un esempio, gli esperti citano due casi ai quali le nuove indicazioni sono già state applicate: quella degli ftalati (in particolare il dietilesilftalato o DEHP), accusati di interferire con lo sviluppo fetale dei maschi, e quella di ritardanti di fiamma (in particolare i difenileteri polibrominati o PBDE), cui viene attribuito un’azione negativa sullo sviluppo cognitivo e, in particolare, un aumento del rischio di disturbo dell’attenzione (ADHD). Ebbene: in entrambi i casi, le revisioni e le indagini effettuate seguendo quanto previsto hanno dato esito positivo e confermato in maniera inequivocabile che tali effetti esistono.

Nel frattempo, due studi pubblicati in contemporanea lasciano intravedere, finalmente, la possibilità che un’altra famiglia di interferenti endocrini, quella dei bisfenoli, possa diventare un giorno un lontano ricordo.

Nel primo, pubblicato su ACS Catalysis, i chimici dell’Università della Catalogna hanno sviluppato un metodo per produrre una serie di polimeri derivati dal limonene, sostanza presente negli agrumi, addizionato di CO2. Queste molecole hanno ottime caratteristiche chimico-fisiche, e potrebbero quindi sostituire i policarbonati realizzati con i bisfenoli; tra l’altro, hanno un punto di fusione più alto di questi ultimi, e potrebbero quindi essere anche migliori.

Ricercatori spagnoli hanno sviluppato un metodo per produrre sostituti del bisfenolo A a partire dal limonene

Il secondo studio, condotto dai ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston mediante un approccio di tipo “big data”, cioè basato sulle potenzialità dei grandi calcolatori, ha permesso di individuare alcuni candidati lontani chimicamente dagli estrogeni, per evitare che qualunque similitudine possa interferire appunto con gli equilibri ormonali.

Come riferito su PLoS One, in particolare, i derivati sono stati ottenuti grazie a elaborazioni delle immagini del microscopio e a simulazioni degli effetti biologici su linee cellulari, stime che hanno permesso di accelerare moltissimo lo screening chimico e di giungere ad almeno tre sostanze (per ora chiamati solo con il nome chimico) che meritano di essere oggetto di approfondimento.

La ricerca dunque si muove, e prova a trovare una via alternativa al bisfenolo A, anche perché le restrizioni nell’impiego di quest’ultimo sono sempre più forti e diffuse, e quello che è stato proposto a come sostituto, il bisfenolo S, potrebbe essere fin troppo simile, o forse peggiore.

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PIO NECCI
PIO NECCI
10 Agosto 2017 14:19

QUANDO APPLICHEREMO IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
O DOBBIAMO CONTARE PRIMA I MORTI