Uomo anziano con gli occhiali legge l'etichetta di un prodotto al supermercato

Gli italiani sembrano aver dimenticato la dieta mediterranea. È quanto emerge dalla nuova “Indagine nazionale sui consumi alimentari in Italia: INRAN-SCAI 2005-06”. Lo studio, condotto dall’Inran, l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, rivela quali sono i consumi, le abitudini e gli stili di vita degli italiani. La ricerca ha preso in esame un campione di famiglie (3.323 individui) distribuite su tutta la penisola, che per tre giorni consecutivi ha compilato un diario sui consumi oltre ad alcuni questionari.

L’esito non è sempre stato quello sperato, basta dire che il consumo medio di frutta e verdura è risultato di 418 g/die pro capite, appena sopra il minimo raccomandato dalla FAO (Food and Agriculture Organization) pari a  400 g.

Osservando il consumo di carni rosse si capisce  perché la dieta mediterranea sembra essere un ricordo del passato. Il  valore a crudo raggiunge i 700 g alla settimana, contro i 400-450 g consigliati. Un abuso che ha come possibili conseguenze lo sviluppo di gravi patologie del colon e del retto.

Nessuna novità per quanto riguarda i pasti, ancora consumati principalmente in casa: il pranzo rimane il più amato, tanto da fornire il 43% dell’energia giornaliera, contro il 38% della cena, l’11 % della colazione e l’8% di spuntini e snack.

Lo studio prosegue con un approfondimento sui singoli alimenti, con indicazioni precise riferite ai grammi assunti giornalmente. Tra le bevande in prima posizione troviamo l’acqua in bottiglia con quasi mezzo litro che batte quella di rubinetto (196 g), confermando il triste primato dell’Italia come la nazione con consumi record di minerale.

Nell’elenco dell’Inran segue in seconda posizione il caffè (81 g), e a notevole distanza c’è il tè (27 g). Quindi, le bevande a base di cola (19 g), i succhi di frutta alla pera, pesca, mela e albicocca (16 g) e alla fine altri tipi di succhi di frutta (11 g).

Il vino rosso è il preferito tra le bevande alcoliche (50 g), seguito dalla birra (25 g) e dal vino bianco (14 g).

Passando agli alimenti propriamente detti, nella sezione cereali e prodotti da forno il pane è sovrano con 94 g al giorno. Solo al secondo posto, a distanza, l’icona della cucina nazionale, la pasta di semola (50 g).

Nel gruppo carne, in vetta alla classifica, c’è la carne di bovino (43g), seguita da pollame (21 g) e suino (19 g, esclusi gli affettati). Il pesce più diffuso è il merluzzo (8 g), mentre il tonno in scatola e i crostacei (4 g) si dividono la seconda posizione.

Per quanto riguarda la verdura, escludendo i pomodori che sono i protagonisti indiscussi della cucina italiana, i consumi sono orientati verso lattuga (17 g), zucchine (14 g) e carote (10g).

Tra i latticini trionfa la mozzarella vaccina (23 g), seguita dallo yogurt alla frutta (10 g), bianco (7 g) e dal parmigiano (7 g).

Infine tra i frutti, leader indiscusse sono le mele (59 g) e le arance (30 g).

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Foto: Photos.com

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Andrea Ghiselli
Andrea Ghiselli
7 Marzo 2012 18:20

Evidentemente Domenico non si rende conto di cosa significhi rilevare i consumi di una popolazione ed analizzarli

Domenico
Domenico
7 Marzo 2012 11:58

Molto interessanti i dati, e anche l’articolo di commento, ma nel merito definire "nuova" l’indagine mi sembra un po’ azzardato! Con quale coraggio un ente nazionale di ricerca pubblica uno studio risalente nientepopodimenochè al 2005/2006? Quale attualità possono avere le conclusioni di uno studio "vecchio" in un mondo i cui consumi, le cui abitudini, il cui mercato è radicalmente mutato? E soprattutto, come ha fatto l’INRAN a impiegare oltre 6 anni per elaborare i dati raccolti in soli 3 giorni su poco più di 3000 persone?? Certo, il dato è in linea con le altre elaborazioni dell’Ente (l’indagine ’80/’84 è stata pubblicata nel ’90 e quella ’94/’96 nel 2001!).Il problema è che inoltre – cito testualmente – "Tali dati costituiscono la base decisionale
per interventi di politica alimentare, anche in relazione alle potenzialità di
valorizzazione dei prodotti tipici". Sono dunque questi i dati fondanti per i futuri interventi di politica alimentare, con buona pace della tempestività, dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa??

Federico
Federico
9 Marzo 2012 11:44

Domenico mi sembra molto informato e in effetti 6 anni per un’analisti statistica mi sembrano troppi, poi dipende se doveva durare 6 anni per dare stipendi per 6 anni. Campione di 3000 persone non so quanto sia omogeneo. Con i rincari degli ultimi 3 anni, credo sia cambiato ancora lo stile alimentare.

Andrea Ghiselli
Andrea Ghiselli
10 Marzo 2012 15:53

Vedo che raddoppia il numero di chi non sa bene come venga effettuata un’indagine di sorveglianza, che mediamente, in qualsiasi paese del mondo impiega dai 5-10 anni prima di vedere la luce

Domenico
Domenico
12 Marzo 2012 10:01

Caro Andrea, certamente nella vita non mi dedico a indagini di sorveglianza, ma nei momenti liberi cerco di diventare un attento lettore. In primo luogo mi permetto di commentare l’affermazione "in qualsiasi paese del mondo", che mi sembra una inappropriata tautologia (verificabile da chiunque voglia ad es. fare un giro sul sito web dell’USDA o dell’NCHS statunitensi, dove a parità di oggetto, cioè National Health and Nutrition Examination Survey, risulta con evidenza che il numero di dati raccolti e i tempi di elaborazione d’oltreoceano siano in genere significativamente differenti da quelli rappresentati dall’INRAN)
In secondo luogo, a mio parere il problema da sollevare non è "come venga effettuata" un’indagine di sorveglianza, ma "a chi" serve e "per quali finalità"; e, sinceramente, le verifiche condotte dietro il tuo invito a conoscere meglio "come" venga effettuata un’indagine di sorveglianza al momento rafforzano le mie perplessità!

andrea
andrea
13 Marzo 2012 13:04

Sì, però l’articolo dice :"La ricerca ha preso in esame un campione di famiglie (3.323 individui) distribuite su tutta la penisola, che per TRE GIORNI consecutivi ha compilato un diario sui consumi oltre ad alcuni questionari."

Insomma, non sembra questo uno studio a vasto raggio…

Magari Andrea Ghiselli ci spiega meglio.