Pre-ipertensione è la nuova diagnosi che sta per essere lanciata durante la conferenza internazionale che si terrà a Vienna su questo tema dal 24 al 27 febbraio 2011. Ne parla in un approfondito articolo Cinzia Colombo, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri, sul portale Partecipasalute.

Il pre-iperteso ha una pressione sistolica, la cosiddetta massima, di 120-139 mm Hg (millimetri di mercurio) o una pressione diastolica, la minima, di 80-89 mm Hg. Parametri finora considerati normali diventano così soglie di pre-rischio, o meglio identificano il rischio di sviluppare l’ipertensione, a sua volta fattore di rischiodi disturbi cardiovascolari.

Cinzia Colombo riporta le considerazioni apparse di recente sulla rivista medica British Medical Journal:   Fiona Godlee, il direttore della testata , riassume bene cosa sta succedendo nel titolo dell’editoriale: «Siamo a rischio di essere a rischio?», dove commenta un articolo del giornalista scientifico Ray Moynihan sulla nascita e l’evoluzione di questa nuova categoria di diagnosi.

Di pre-ipertensione si parla per la prima volta nelle linee guida stilate nel 2003 dal comitato nazionale statunitense sull’ipertensione, composto da un gruppo di clinici, ricercatori e docenti universitari. Veniva chiarito che la pre-ipertensione non è una nuova malattia, ma una classificazione di valori di pressione al limite dell’ipertensione, creata perché «più la pressione del sangue è alta, più aumentano il rischio di infarto, di arresto cardiaco, di ictus, e di malattie del rene». Il rischio di morte per infarto e per ictus secondo gli autori cresce progressivamente e in modo lineare già a partire da valori considerati prima normali. Da qui la necessità di una nuova categoria di diagnosi.

Le linee guida sottolineavano che «le persone identificate come pre-ipertese non sono da trattare con farmaci, ma vanno invitate ad adottare uno stile di vita che riduca il loro rischio». Cinzia Colombo evidenzia che questa precisazione non frena l’apertura di fatto di una nuova fetta di mercato: «Facendo una stima» commenta Moynihan, «si può considerare che un adulto su tre è pre-iperteso, il che significa oltre 50 milioni di persone solo negli Stati Uniti. Una vera e propria miniera d’oro per le aziende farmaceutiche».

Nonostante le dichiarazioni sulla necessità di intervenire sullo stile di vita, negli anni successivi alla pubblicazione delle linee guida sono stati condotti studi sull’efficacia di alcuni farmaci in persone classificate come pre-ipertese, e l’attenzione di clinici e ricercatori è cresciuta fino al convegno internazionale di Vienna del prossimo anno. I temi saranno: la pre-ipertensione è una malattia vera o inventata? Dalla pre-ipertensione all’ipertensione; trattare la pre-ipertensione è la chiave per evitare l’ipertensione? Nuovi approcci farmacologici alla pre-ipertensione.

La creazione della diagnosi di pre-ipertensione è emblematica e si stanno moltiplicando casi analoghi: come la pre-osteoporosi e il pre-diabete, che potenzialmente trasformano in malati la maggior parte degli adulti. Se già da anni è in atto un abbassamento delle soglie di rischio – come i livelli di colesterolo nel sangue – identificare soglie di pre-rischio aumenta la medicalizzazione della salute e il mercato potenziale delle aziende farmaceutiche.

Gli interessi in gioco sono alti: nel comitato che scrisse le linee guida del 2003, undici dei 12 componenti dichiararono di avere diversi rapporti con aziende farmaceutiche. Tra questi, George Bakris dichiarò di aver lavorato come relatore o consulente per 13 aziende farmaceutiche: oggi è il presidente dell’American Society of Hypertension, dove 9 dei 13 componenti del direttivo hanno dichiarato a loro volta di avere rapporti con aziende farmaceutiche.

In una condizione di conflitto di interessi erano anche gli autori di uno studio clinico pubblicato nel 2006. Su undici autori, sette dichiararono legami con aziende farmaceutiche, e uno era impiegato di Astra-Zeneca, azienda produttrice del farmaco in studio. Stevo Julius, primo autore dell’articolo, dichiarò legami finanziari con 4 aziende farmaceutiche. Julius, relatore al prossimo convegno di Vienna, ribadisce oggi l’importanza di studi clinici molto più grandi che coinvolgano persone pre-ipertese, per valutare se i farmaci possono prevenire le conseguenze dell’ipertensione.

Il direttore del comitato organizzatore del convegno, Reuven Zimlichman, vicepreside della facoltà di medicina di Tel Aviv, assicura che gli sponsor non avranno nessuna voce in capitolo nella decisione dei contenuti. Lo scopo del convegno sarà comunque avviare lo sviluppo di linee guida sulla pre-ipertensione. Ma l’iniziativa è fortemente criticata da alcuni esperti del settore.

Come accade che un parametro considerato normale fino a un certo momento si trasformi in una condizione di rischio? Cinzia Colombo spiega che storicamente queste decisioni sono state prese
esclusivamente dai medici e riporta quanto sostiene Curt Furberg dell’Università
Wake-Fores, secondo il quale la professione medica è cresciuta negli anni intessendo
legami troppo stretti con le aziende farmaceutiche e non è più adatta a prendere
queste decisioni da sola. Furberg lancia quindi la proposta che la società civile intervenga nella decisione di chi debba essere considerato malato.

L’idea di aprire il dibattito e il processo decisionale ai cittadini e alla società civile, soprattutto in ambiti di salute pubblica dove ci sia incertezza nel rapporto tra rischi e benefici e i valori personali abbiano un peso determinante, è in linea con un nuovo progetto di democrazia deliberativa intitolato Giurie dei cittadini, ideato nell’ambito del progetto Partecipasalute.

Per saperne di più: Godlee F. , Are we at risk of being at risk? BMJ 2010; 341:c4766; Moynihan R., Who benefits from treating prehypertension? BMJ 2010; 341:c4442.

 

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