C’è una notizia molto interessante per chi non vuole l’ulteriore espansione delle sementi geneticamente modificate (GM) che però non ha avuto il giusto risalto sui media rispetto ad altre,  come il tanto  discusso  studio di Séralini sugli effetti cancerogeni del mais Monsanto.

Il mais, la soia e il cotone GM, dopo i primi anni di raccolto, favoriscono la selezione di erbe infestanti resistenti e ciò fa aumentare significativamente il bisogno di erbicidi. In altre parole, il loro utilizzo spiana la via al paradossale risultato di utilizzare in campo ( e quindi sui prodotti alimentari) più agrofarmaci rispetto alle sementi tradizionali, con un risultato opposto rispetto a quanto proclamato dalle aziende.

 

La fonte è autorevole: lo studio è stato compiuto da Charles Benbrook, docente di agricoltura sostenibile della Washington State University, che ha passato al setaccio i dati ufficiali dello US Department of Agricolture’s National Agricolture Statistics Service, dimostranso che le cose non stanno andando affatto bene. Ogni anno negli Stati Uniti il volume degli erbicidi usati per queste tre colture, e soprattutto il famigerato glifosato (principio attivo del Roundup, per ridurre il quale sono state introdotte le colture GM della Monsanto) aumenta del 25% (183 milioni di chili in più dal 1996 al 2011).

Secondo i dati riferiti su Environmental Science Europe da Benbrook, se la situazione non cambierà in modo drastico, il quantitativo di glifosato necessario a preservare le colture salirà presto di un ulteriore 50%. Il dato è particolarmente allarmante se si considera la pervasività delle sementi GM: circa il 95% della soia e del cotone made in USA provengono ormai da piante geneticamente modificate, così come l’85% del mais.

 

Più che temere i danni sull’incremento delle forme tumorali nei ratti prospettati dal gruppo francese di Séralini, i consumatori dovrebbero preoccuparsi dell’aumento della quantità di erbicidi assunti con la dieta in conseguenza della maggiore diffusione degli alimenti che contengono ingredienti derivati da piante GM, e chiedere studi approfonditi abbinato a un generale ripensamento.

 

Quanto poi ai dati di Séralini, in attesa che si pronunci l’EFSA, il the Federal Institute for Risk Assessment (BfR) tedesco ha pubblicato una vera propria stroncatura. Le conclusioni, si legge nel comunicato, non sono corroborate a sufficienza dai dati sperimentali, perché si riscontrano gravi carenze tanto nella conduzione dei test quanto nella raccolta e presentazione dei dati. Non solo: la parte dello studio che riguarda gli animali trattati solo con glifosato che – quello sì – può comportare gravi problemi di salute e morte prematura, come attestato ormai da decine di studi – non è approfondita a sufficienza, e avrebbe meritato ben altro risalto.

 

Gli esperimenti erano stati così strutturati: su un totale di 200 animali, un gruppo è stato alimentato con mais NK603 (in parte trattato con il glifosato durante la coltura, in parte no), in tre dosi. Altri animali sono stati invece nutriti con cibo normale, ma dissetati con acqua contenente glifosato, anche in questo caso in tre dosi; infine, gli animali di controllo hanno ricevuto dieta e acqua normali, senza NK603 né glifosfato. Queste le critiche principali:

  • La suddivisione in così tanti gruppi (10) ha fatto sì che alla fine ciascuno di essi fosse troppo piccolo (critica mossa da molti), al di sotto degli standard internazionali richiesti nelle prove di cancerogenesi;
  • Non è stato approfondito il ruolo del glifosato, dato che sarebbe stato utile visti anche gli esiti di molti studi di lungo termine e considerato il fatto che esso è componente attivo di molte miscele di erbicidi;
  • I ratti utilizzati appartengono a una specie nota per la sua relativa facilità a sviluppare tumori e non sono quindi il campione ideale per studi di questo tipo; inoltre, alcuni animali del gruppo di controllo sono morti prima di quelli trattati, una contraddizione non spiegata e approfondita come avrebbe meritato;
  • Gli autori ipotizzano che gli effetti dannosi siano causati da un’interferenza di tipo ormonale causata da qualche componente del masi NK603, ma non lo dimostrano;
  • Le dosi di glifosato somministrate non sono comparabili da quelle che si ottengono in vivo quando viene dato Roundup, la forma più diffusa di glifosato;
  • I dati raccolti sono incompleti

Le lacune sono così numerose – conclude il comunicato BfR – tanto che l’ente ha chiesto agli autori di rispondere ai singoli punti.

La domanda allora è: come mai lo studio è stato accettato dai referee di una rivista scientifica fino a oggi apprezzata per la sua serietà come Food and Chemical Toxicology?

In attesa di avere chiarimenti su tutta questa vicenda, i consumatori italiani possono avere una qualche ragione di ottimismo: l’uso degli erbicidi, qui, è in costante diminuzione. Lo ha reso noto l’Istat, che ha pubblicato il consueto rapporto (http://www.istat.it/it/archivio/71698 ) dal quale emerge che nel 2011 l’utilizzo di fitofarmaci in agricoltura è diminuito dell’1% rispetto al 2010, e che negli ultimi dieci anni il calo è stato del 3,6%, mentre nel ventennio 1990-2012 la diminuzione è stata addirittura del 32% (da 141.200 a 95.830 tonnellate). La parte del leone la fanno le regioni del Nord, che distribuiscono il 50,9% dei fitofarmaci, seguite dal Sud (37,1%).

 

Aggiornamento ultima ora:  l’Efsa ha espresso un parere  molto critico sulle modalità dello studio di Séralini (abbastanza  analogo a quello del BfR tedesco). Un comunicato  sarà pubblicato nelle prossime ore.

  

Agnese Codignola

Foto:Photos.com

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Diego D'agostino
Diego D'agostino
4 Ottobre 2012 23:01

Il glisofate viene utilizzato anche nella lotta allâ