Il “palma” è l’olio più utilizzato al mondo, come ingrediente di alimenti e prodotti di largo consumo quali cosmetici e detergenti). Gli ecologisti, come si è visto, hanno stimolato i grandi utilizzatori industriali a pretendere idonee garanzie dai produttori affinché non si deforestino le giungle tropicali per dare riscontro alla crescente domanda di palma. I colossi dell’industria e della distribuzione – l’ultimo è stato WalMart, a fine ottobre – si sono impegnati a non acquistare più neppure una goccia di olio non provvisto della certificazione RSPO («Roundtable on Sustainable Palm Oil»). Il mese scorso RSPO ha festeggiato il primo milionesimo  certificato, e in questi giorni ha lanciato il marchio “globale” che gli utilizzatori del “palma” sostenibile potranno apporre sulle etichette dei loro prodotti, a partire dall’1 gennaio 2011.

La capacità produttiva di olio certificato è così salita, in pochi anni, a 3 milioni di tonnellate. Ma la produzione globale, al 90% in Indonesia e Malesia, ammonta a circa 45 milioni di tonnellate. Dunque, nonostante gli impegni delle grandi industrie sul fronte della sostenibilità e gli aiuti offerti da agenzie governative occidentali ai governi locali affinché le coltivazioni siano estese su terreni incolti anziché a discapito delle foreste, il problema mantiene attualità. La popolazione aumenta, la domanda globale del più economico degli oli edibili altrettanto, e la sensibilità ambientale di alcuni Governi è certo diversa dalla nostra. Il fiorente mercato dei “futures” sull’olio di palma, del resto, non induce ottimismo.

Servono perciò alternative. Alcuni, come il gruppo francese di supermercati «Casino», provano a sostituire il palma con altri oli (girasole, soia, colza, arachide): cosa non facile, poiché il palma meglio si presta a dare consistenza ai cibi, essendo solido a temperatura ambiente.

Un’intuizione interessante  è firmata  dal gruppo Unilever – uno tra i primi utilizzatori di olio di palma sostenibile, per la produzione di gelati (es. Magnum), saponi e shampoo (es. Lux, Dove) – che ha investito parecchi milioni di dollari in Solazyme, una società californiana specializzata nell’estrarre i nutrienti contenuti nelle alghe, tra cui anche i grassi.

Fondata a San Francisco nel 2003, Solazyme raccoglie ampie varietà di materie prime vegetali (erbe, residui di canna da zucchero e di cereali) per nutrire dentro grandi riserve acquatiche alghe unicellulari che hanno la naturale capacità di sintetizzare l’olio.

L’utilizzo di olio derivato dalle alghe può costituire un’alternativa sostenibile all’olio di palma e al contempo garantire la stabilità delle forniture e dei loro prezzi. Sottraendosi alle significative oscillazioni dei costi cui sono soggetti, anche a causa di speculazioni finanziarie, le materie prime agricole di base (c.d. commodities), tra le quali appunto l’olio di palma.

L’olio di alghe ha un potenziale enorme, del quale non si è praticamente tenuto conto sino a due o tre anni fa”, ha notato Alison Smith, professore di scienze vegetali all’università di Cambridge (GB).

Proprio il 22 ottobre la Commissione europea ha autorizzato nuovi utilizzi come ingrediente alimentare per l’olio estratto dalla micro-alga Schizochytrium sp. Alla domanda “se e quando sarà possibile produrre quantità sufficienti di olio d’alga a prezzi competitivi”come e quando” il direttore dell’Innovazione di Unilever Corporate Ventures, Phil Giesler, risponde con ottimismo: “non si tratta di una applicazione di nicchia, è molto promettente dal nostro punto di vista”. A quanto pare entro i prossimi tre-sette anni questo sogno potrebbe divenire realtà, grazie alla determinazione di un gruppo il cui leader globale Paul Polman ha dichiarato l’obiettivo di raddoppiare il fatturato proprio grazie all’innovazione e alla sostenibilità.

Anche i risultati degli esperimenti in corso paiono essere incoraggianti. Jonathan Wolfson, cofondatore e Chief Executive Officer di Solazyme, spiega di avere già realizzato oli per diverse preparazioni alimentari, con risultati apprezzabili anche sul piano organolettico.

Dario Dongo

 

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