insaccati misti su tagliere di legno rotondo

carneDa alcuni anni in Italia aumenta il numero di vegetariani e vegani e diminuisce il consumo di carne. Si tratta di un andamento in armonia con le indicazioni dell’OMS, che raccomanda di ridurre la carne rossa e i salumi, perché il consumo eccessivo è correlato all’insorgenza di malattie cardiovascolari e ad alcune forme di cancro. Ma cosa significa eccessivo? Secondo Laura Rossi, del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) “La carne contiene certamente proteine nobili, però il “valore aggiunto” – dato che la dieta degli italiani è comunque ricca di proteine – è l’apporto in micronutrienti come ferro e vitamine del gruppo B, in forma facilmente assimilabile, più di quanto accade negli alimenti vegetali. In base alle indicazioni degli enti internazionali, la quantità adeguata di carne, per un adulto sano, è di quattro porzioni a settimana.”  Secondo i nutrizionisti una porzione di carne corrisponde a 100 grammi (cruda), che scendono a 50 per i salumi. Se questo è l’obiettivo da raggiungere è importante stabilire quanta carne viene mangiata effettivamente.

Quando si parla di consumi le stime riportano di solito il “consumo apparente”, calcolato sull’ammontare della produzione nazionale, cui bisogna sottrarre l’export e aggiungere l’import e dividere il risultato in base al numero di residenti (*). Questo valore, per gli italiani, supera i 200 g pro capite al giorno (210 secondo le stime Ismea e 230 secondo i calcoli Fao). Il valore riferito alla produzione di carne è però dato dal peso delle carcasse registrato al momento della macellazione, ed è quindi comprensivo dell’inevitabile scarto. Si tratta di un dato “grezzo” da sottoporre a un fattore correttivo per determinare la quantità effettiva consumata ogni giorno dagli italiani.

Un altro sistema per stabilire l’effettivo consumo consiste nel redigere diari alimentari o raccogliere interviste di un campione rappresentativo della popolazione. L’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare europea) ha raccolto i risultati degli  studi condotti nei diversi Paesi europei e per quanto riguarda l’Italia si è arrivati a stimare un consumo di circa 110 grammi al giorno. È evidente che il consumo apparente (oltre 200 g) è un dato sovrastimato, utile per valutare la capacità di approvvigionamento di una nazione, ma non per fare considerazioni di tipo nutrizionale. Il  metodo proposto dall’Efsa fornisce valori più realistici anche se è più complesso, e per questo motivo il più delle volte ci si affida al primo.

Nel corso del convegno “La carne e i suoi valori nell’alimentazione umana”, promosso dall’Accademia nazionale di agricoltura, è stato presentato il “metodo della detrazione preventiva delle perdite”, elaborato da una commissione di studio dell’Aspa (Associazione scientifica di produzione animale), diretta da Vincenzo Russo, dell’Università di Bologna. Si basa sul calcolo di coefficienti che permettono di trasformare il peso della carcassa in carne effettivamente consumata. Il sistema fornisce un dato su quanta carne finisce affettivamente nello stomaco degli italiani rispetto alla quantità registrata al macello. Per calcolare la conversione è necessario sottrarre la parte che va persa durante la lavorazione o non destinata al consumo umano, come ossa, pelle e cartilagini. Il risultato rappresenta la carne “consumabile” da cui bisogna sottrarre i ritagli scartati nella fase di commercio al dettaglio (valutati intorno al 2%) e la quota non utilizzata a livello domestico perché in eccesso, non gradita o deteriorata (lo spreco domestico).

Gli italiani consumano ogni settimana 420 g di carne rossa e 190 di salumi

La ricerca della commissione diretta da Russo ha permesso di calcolare coefficienti di trasformazione per ogni tipo di animale. Se per esempio, per la carne di vitello il valore è 0,524, questo sale a 0,528 per il suino leggero e a 0,621 per il tacchino. Stimare lo spreco domestico è più difficile e le pubblicazioni sull’argomento riportano numeri che vanno dall’8 al 30%. In questo caso un valore intorno al 10% è considerato attendibile. Alla fine il consumo effettivo equivale a un po’ meno della metà rispetto al “consumo apparente” ovvero 104 g al giorno, corrispondenti a 728 g alla settimana e 38 kg all’anno. Il 70% è correlabile a carni rosse, la rimanente quota a carni bianche. Si tratta di valori decisamente inferiori rispetto alle stime ufficiali, ma ancora troppo elevati considerando i 400 g a settimana raccomandati dal Crea.

“Il problema – sottolinea Rossi – riguarda in particolare la carne rossa e i salumi. Secondo l’indagine Inran/Scai (oggi Crea)  gli italiani consumano ogni settimana 420 g di carne rossa e 190 di salumi. È necessario ridurre il consumo di salumi, che hanno indubbie qualità di praticità d’uso, per riequilibrare l’apporto di grassi, soprattutto quelli saturi, e di sale. Mentre un consumo di carne rossa, secondo le quantità raccomandate, non è correlato a un maggiore rischio di malattie croniche. Inoltre, diversamente da quanto molti pensano, le carni bianche dal punto di vista di minerali e vitamine sono equivalenti a quelle rosse, ma sono preferibili per il minore contenuto in grassi e perché sono associate a una riduzione del rischio patologie.”

Le carni bianche dal punto di vista di minerali e vitamine sono equivalenti a quelle rosse

Non tutti però hanno un approccio “sereno” al tema. Giorgio Cantelli Forti, presidente dell’Accademia Nazionale dell’Agricoltura, con una battuta sostiene che la moda di combattere la carne, come i no TAV o i movimenti contrari ai vaccini, sarebbe frutto dell’onda lunga del ’68: una lotta portata avanti da chi vuole combattere un sistema solo perché preesistente. In realtà i dati raccontano una storia diversa: per dare alle persone  informazioni corrette è importante avere numeri vicini alla realtà, e secondo i nuovi calcoli i consumi devono essere ridimensionati. Se i dati sono questi, senza allarmismi, ridurre il consumo di carne e soprattutto i salumi, può solo essere utile, sia per la salute che per l’ambiente. Le associazioni dei produttori di carne sono evidentemente preoccupate dal calo dei consumi (il Pil del settore è di circa 30 miliardi l’anno e gli addetti sono circa 180mila). Forse la via giusta per salvare il fatturato consiste nel migliorare la qualità – e aumentare i prezzi, certo, quando necessario – considerando anche il benessere animale e cercando di risolvere le criticità che affliggono gli allevamenti intensivi.

(*) La formula è questa: consumo apparente = (produzione nazionale + import – export)/numero dei residenti.

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PIER DANIO
PIER DANIO
17 Ottobre 2017 17:06

Non credo si possano associare dati statistici produttivi e commerciali alla porzione e frequenza settimanale degli alimenti. Oltre a ciò nel nostro paese né CREA né SINU hanno fatto differenze sui consumi dei salumi. Cosa sono dal punto di vista nutritivo, quali le differenze? Il consesus internazionale adottato da tutti AIRC in testa o IEO conferma che non ci sono pericoli di tumore sotto i 500 g a settimana di carne, bianca o rossa che sia e in ogni forma proposta. Questo significa che se mangiamo una fettina di carne da 120g 3 volte a settimana e 1 volta 80g di prosciutto crudo o cotto o bresaola e 50/60 grammi di salame mortadella e insaccati vari, siamo entro il limiti dettati dalla scienza della nutrizione. Ma c’è un ma, il pericolo diffuso dall’Agenzia della OMS ha raccolto studi in tutto il mondo la maggioranza americani, si può immaginare che all’interno di questi dati vi siano: pollo fritto, salsicce, hot dog, hamburger, ecc.. Possono questi prodotti essere paragonati ai nostri prosciutti DOP, o anche alla mortadella IGP Bologna, io credo di no. Noi italiani dovremmo rispettare le frequenze e le porzioni della SINU, ma anche valutare che i nostri prodotti sono migliori e che se una settimana mangiamo 100g di culatello in più non succederà nulla alla nostra salute. Oltre a ciò nelle statistiche sono comprese la carne, le uova ecc., dell’industria alimentare, compreso i ripieni dei ravioli e tutto quello che viene esportato, che non mangiano sicuramente gli italiani.

Valeria Balboni
Valeria Balboni
Reply to  PIER DANIO
19 Ottobre 2017 14:20

Gentile Pier Danio,

ha ragione, secondo le indicazioni cui lei fa riferimento, riprese dall’IEO e dalla AIRC, 500 g di carne non creano problemi per la salute, nelle stesse raccomandazioni, subito dopo, però si legge che:
“Gli insaccati e le carni lavorate e processate sarebbero da eliminare dalla lista della spesa e da consumare solo occasionalmente. Non è chiaro quale sia il collegamento diretto tra il consumo di carni lavorate e conservate e il rischio di cancro perché i fattori di rischio potrebbero essere legati al metodo di conservazione (sale, affumicatura, conservanti, coloranti) oppure al contenuto di grassi saturi.”

Le raccomandazioni si trovano a questi indirizzi:
https://www.ieo.it/it/PREVENZIONE/Stili-di-vita/Alimentazione/
http://cancer-code-europe.iarc.fr/index.php/it/
http://www.airc.it/cancro/disinformazione/proteine-origine-animale-salute/)

Il Crea, che redige le linee guida per l’alimentazione degli italiani, tiene conto delle indicazioni dell’OMS, e allo stesso tempo dell’equilibrio di una dieta bilanciata. In quest’ottica, quattro porzioni di carne a settimana sono più che sufficienti, perché numerose ricerche mettono in evidenza che le proteine di origine vegetale sono per molti aspetti da preferire. In queste quattro porzioni (che sono da vedere come un “tetto massimo” piuttosto che una “prescrizione”) si dovrebbero alternare carne rossa e carne bianca, perché secondo l’OMS, per prevenire il cancro, la carne rossa è da limitare.

Per quanto riguarda la qualità delle carni conservate italiane, purtroppo, secondo i nutrizionisti, questo non incide molto sulla cancerogenicità e di certo non incide sul rischio di malattie cardiovascolari perché anche i prosciutti di migliore qualità hanno un contenuto elevato di grassi saturi e di sale.

Le raccomandazioni riguardano un popolazione con caratteristiche medie, il rischio individuale invece deve essere calcolato in base alle caratteristiche individuali e alla presenza di altri fattori di rischio, come la famigliarità per il cancro al colon retto.

Cordiali saluti

Martina B
Martina B
18 Ottobre 2017 06:27

In questo articolo non si capisce bene perché gli Italiani dovrebbero ridurre il consumo di carne se poi
1) i salumi sono pratico da usare ma semplicemente hsnnobteoppo sale e grassi saturi
2) la carne rossa non ha legami con malattie croniche
3) la carne bianca è più magra e più sicura della carne rossa.
La carne sia rossa che bianca è legata a malattie croniche e degenerative in promos la malattia cardiovascolare. L’endotelio (rivestimento interno delle arterie) è danneggiato da una dieta carnea (tant’è che Ornish ha mostrato come eliminando la carne e le uova le arterie guariscano), la dieta vegetale con pochi grassi è quella che offre maggiori protezioni contro le malattie degenerative, tumori, malattia cardiovascolare, malattia renale, ecc. le proteine nobili ormai di s che non esistono: tutti h vegetali sul pianeta contengono tutti gli amminoacidi essenziali che vi servono mentre la carne che anche lì contiene insieme alle proteine ha però colesterolo grassi saturi e trans. Il ferro eme della carne è pericoloso perché non il corpo non riesce a regolarne i livelli mentre il non eme no. Troppo ferro fa male.
L’unica mancanza delle diete vegetali è la vitamina b12. Consiglio il sito no profit Nutritionfacts.org e no il veganesimo non è una moda ma è il risultato della mole dell’evidenza scientifica odierna!

Valeria Nardi
Reply to  Martina B
19 Ottobre 2017 14:23

Gentile Martina,

l’eccessivo consumo di carne è associato a numerose patologie, e lo ricordo nella prima parte dell’articolo. La comunità scientifica non ha dubbi sul fatto che la carne, soprattutto rossa, sia correlata alle malattie cardiovascolari, mentre le carni trasformate hanno attività cancerogena. La carne bianca è considerata più salutare della carne rossa.

Tutti gli enti che eaborano raccomandazioni e linee guida concordano sulla necessità di aumentare la quota di alimenti di origine vegetale e diminuire gli alimenti di origine animale.
Questo non significa che sarebbe meglio diventare tutti vegetariani, perché per alcune persone un drastico cambio di dieta potrebbe aver effetti negativi per la salute, inoltre bilanciare in modo corretto un’alimentazione vegetariana richiede una competenza che non tutti hanno. Ancora più difficle risulta bilanciare i nutrienti in un’alimentazione vegana. Non sto dicendo che non siano diete salutari ma solo che è difficile, se non si è seguiti da un medico o da un esperto, bilanciare correttamente l’apporto di nutrienti.

Giuseppe
Giuseppe
18 Ottobre 2017 09:03

Una bolla d’acqua, mi stavo già preoccupando…
E’ solo una questione di coefficienti, domani si sveglia un altro ricercatore e schizziamo a 150 g/giorno o scendiamo a 40 g, alla faccia dell’attendibilità.
Se fino a ieri eravamo attestati sul dato medio di consumo raccomandato dall’OMS di 450/500 g/settimana, adesso siamo schizzati a 770 g!
E’ come al supermercato quando leggi i prezzi: per 65 €/kg ti viene un infarto che ti rianimano con i sali ma se leggi 6,5 € all’etto… di sicuro stai più sereno.

Valeria Nardi
Reply to  Giuseppe
18 Ottobre 2017 10:24

“Gentile Giuseppe, i coefficienti di calcolo di cui parla l’articolo non riguardano le quantità CONSIGLIATE agli italiani, ma le quantità CONSUMATE dagli italiani. Se vogliamo ragionare sulla nutrizione, è utile sapere quanta carne effettivamente si consuma. I dati utilizzati di solito si basano sulla carne che arriva al macello, quindi si parla di “consumo apparente”. Il lavoro cui faccio riferimento nell’articolo è un metodo elaborato per calcolare quanta carne viene effettivamente mangiata dagli italiani, partendo dal peso delle carcasse al macello. Se i dati apparenti parlano di circa 200 g al giorno, con questo calcolo si scende a circa 100 g al giorno, che sono più o meno quelli rilevati dal Crea con il metodo delle interviste.
Ciò non toglie che 100 g al giorno sono comunque troppi secondo il parere di Iarc e di Crea.”

Giuseppe
Giuseppe
18 Ottobre 2017 10:41

Gentilissima Valeria ma io non voglio mettere in dubbio l’articolo solo che constato come le ricerche, le indagini, le cifre snocciolate siano frutto fini a se stesse di quel particolare rilievo o momento fotografato dal ricercatore.
Conosco anch’io la differenza tra consumo apparente e consumo reale ma quello che voglio dire è che oggi Crea ci dice che consumiamo troppa carne e salumi, ieri Crea (ma un altro dipartimento) ci diceva che i consumi in Italia erano in ordine con le raccomandazioni.
Lei se compra una bustina da 80 g di prosciutto crudo la mangia da sola o la divide in due con un altro commensale? E se mangia prosciutto crudo mangia insieme anche qualche fetta di salame o si fa una bistecca?
Noi con una busta da 150 g di prosciutto cotto ci mangiamo in 5 (bambini compresi ovviamente) ma mica la mangiamo tutti i giorni la carne.
Qualche volta che si eccede ci può stare ma la media dei consumi credo che in Italia sia abbastanza in linea con le raccomandazioni.

Alberto Fiorito
Alberto Fiorito
18 Ottobre 2017 11:17

Buongiorno, come al solito ottimo ed utile articolo. Una mia curiosità: a proposito di carne rossa e trasformata non viene mai citata la posizione del WCRF del 2007 ribadita da OMS 2016 circa la cancerogenicità probabile delle carni rosse (gruppo 2b) e trasformate (gruppo 1). In considerazione dell’impatto ambientale delle carni di allevamento e del rischio consolidato sulla salute potrebbe essere un deterrente per l’eccessivo consumo. Che ne pensate? Grazie ancora per la vostra completezza e professionalità.

ezio
ezio
18 Ottobre 2017 11:32

Se poi togliamo tutti quelli che non ne mangiano affatto e quelli che ne mangiano pochissima ed una volta a settimana, i rimanenti consumatori al netto, ne consumeranno sicuramente di più della media calcolata.
E’ sempre la stessa storia del pollo a testa, ma c’è sempre chi ne mangia due e chi neanche lo vede per tante ragioni.
Le statistiche consumatorie sono purtroppo molto indicative.

Paola
Paola
19 Ottobre 2017 11:51

Solo una precisazione sulle ragioni del vegetariani che, a conclusione dell’articolo vengono tutti tacciati di fanatismo pregiudizievole. Non rientro nella categoria dei vegetariani salutisti, non mi interessa la mia salute, come raccomandato dall’OMS, mi interessa il benessere animale (umanità inclusa, naturalmente) e, come è stato ampiamente dimostrato, gli allevamenti intensivi non ne tengono alcun conto, in più l’impatto ambientale degli stessi, in termini di utilizzo di antibiotici ed ormoni, emissioni di azoto, inquinamento delle acque, sfruttamento di terreni agricoli ai fini di produzione di mangimi è aberrante. Non pretendo un mondo di vegetariani, ma di consumatori responsabili e sensibili alle tematiche dell’Ambiente, sì.
Insomma, ha poco senso pensare alla propria salute se non si pensa alla salute dell’Ambiente.