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donna in gravidanza
Il Bpa presenta dei rischi potenziali per le donne incinte

Dopo tre anni di studio l’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, sanitaria ambientale e del lavoro (Anses) ha pubblicato un dossier su uno degli interferenti endocrini più discussi, il bisfenolo A (BPA) ancora presente  nella filiera alimentare.

Il dossier è particolarmente rilevante perchè si basa su una revisione di tutti gli studi disponibili a livello internazionale. L’agenzia, per la prima volta, fa una reale stima all’esposizione della popolazione al bisfenolo A attraverso l’ingestione di cibo, l’inalazione e l’assorbimento cutaneo (il contatto con alcuni prodotti di consumo).

 

Il rapporto conferma gli effetti negativi della sostanza e sottolinea il danno per le donne incinte in termini di rischi potenziali nei confronti del feto. L’esposizione materna al Bpa può determinare una modifica nella struttura della ghiandola mammaria del feto e tale cambiamento potrebbe a sua volta favorire lo sviluppo di tumori.

 

acqua bottiglia plastica
Il bisfenolo A può essere presente nelle bottiglie di policarbonato riconoscibili perchè riportano il marchio PC (da non confondere con le bottiglie delle minerali in polietilene tereftalato PET).

Secondo il rapporto, la maggiore fonte di esposizione al BPA è legata all’alimentazione (84% nel caso delle donne in gravidanza). Quasi la metà dei casi è dovuta al consumo di prodotti conservati in lattine di metallo che usano resine epossidiche nel rivestimento interno (responsabili del 50% dei casi di esposizione alimentare). Una fonte minore, giudicata nondimeno “significativa”, è rappresentata dall’acqua confezionata  in bottiglie di policarbonato riconoscibili perchè riportano il marchio PC. Si tratta di contenitori rigidi da non confondere con le bottiglie delle acque minerali che sono quasi tutte in polietilene tereftalato (PET).

 

Il report dell’Anses non si limita ad esaminare gli effetti negativi del BPA, ma analizza le potenziali alternative e fornisce una valutazione sulla pericolosità di altri composti della stessa famiglia, come l’ormai noto bisfenolo S utilizzato per le bottiglie dei biberon (di cui Il Fatto Alimentare ha già parlato), offrendo alcuni consigli.

 

Per quanto concerne le alternative al bisfenolo A, il rapporto segnala ben 73 proposte: 4 derivanti direttamente da realtà industriali che hanno contribuito alla stesura del report, 7 da aziende non coinvolte nello studio francese e altre 62 basate sulla letteratura scientifica internazionale. Secondo l’Anses ci sono diverse  possibilità. Il composto si può sostituire direttamente  con un’altra sostanza nella produzione delle varie plastiche, oppure usare altri materiali plastici o polimeri con proprietà simili. Allo stadio attuale della ricerche però non esiste una sostanza alternativa in grado di  sostituire il BPA in tutti gli impieghi. Per essere più precisi va detto che alcune alternative sono già impiegate da alcuni Paesi (europei ed extra europei), mentre altre sono in fase di messa a punto.

 

Quanto all’utilizzo di composti che rientrano nella stessa famiglia del BPA – i bisfenoli S, F, M, B, AP, AF e BADGE – l’agenzia precisa che queste sostanze condividono una comune struttura chimica in grado di conferire loro proprietà estrogeniche (simili a quelle degli ormoni sintetizzati principalmente dalle ovaie e coinvolti nella regolazione del ciclo mestruale, nello sviluppo puberale e nella crescita). Queste proprietà potrebbero tradursi in effetti “nefasti” per i consumatori. In ogni caso per valutare appieno i rischi e avere un profilo tossicologico completo dei vari tipi di bisfenolo occorrono analisi approfondite e studi supplementari.

altre plastiche marchio
Quando il numero all’interno del disegno con le tre frecce è 7, potrebbe trattarsi di policarbonato

 

L’Anses stila una serie di raccomandazioni per i consumatori che pero dovrebbero essere in grado di riconoscere  gli oggetti in plastica che contengono BPA. La questione non è proprio banale perchè non esistono marchi di riconoscimento specifici.

 

Il policarbonato è una plastica rigida, trasparente e riciclabile difficile da distinguere dal plexiglas e dal polipropilene. È usato in molti utensili da cucina: mixer, contenitori ermetici per microonde, tubi per decorare torte, vassoi, brocche, ecc.. mentre è vietato solo nella produzione di biberon.

 

frecce-plasticaQuando un materiale plastico riporta la sigla PC, si ha la certezza di avere di fronte a un oggetto in policarbonato, anche se che la marcatura delle plastiche alimentari non è obbligatoria. Il pittogramma con le tre frecce ha di solito un numero all’interno: se va da 1 a 6 non è policarbonato. Se compare il numero 7 potrebbe trattarsi di policarbonato (o di altre sostanze plastiche) e in questo caso potrebbe essere presente il BPA.

 

lattine cibi conservati
Le lattine costituite da 3 parti: un corpo cilindrico e due coperchi possono avere Bpa nel rivestimento interno

Per le lattine metalliche il problema riguarda il rivestimento interno che potrebbe  contenere BPA. Anche in questo caso però non ci sono elementi per capire.

I barattoli cilindrici di metallo e le lattine rettangolari si possono dividere in due categorie:

1) quelli ottenuti mediante stampaggio da un solo foglio metallico e abbinati ad un coperchio non contengono BPA (lattine delle bibite).

2) quelli costituiti da 3 parti: un corpo cilindrico e due coperchi in alto e in basso (lattine di pelati, piselli in scatola…) possono avere Bpa nel rivestimento interno (le possibilità raddoppiano se il cibo è acido).

Qualche sospetto riguarda anche i contenitori di vetro dotati di un coperchio metallico che potrebbe essere rivestito all’interno con una vernice in cui è presente BPA.

 

La sensazione è che l’agenzia francese proponga soluzioni che potrebbero essere adottate prossimamente a livello europeo e fornisca un’assistenza tecnica per affrontare dubbi e problematiche che circolano in Europa, in attesa di risposte precise.

 

Luca Foltran

© Riproduzione riservata

Foto: Photos.com

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michela
michela
23 Aprile 2013 12:18

Bè la situazione è abbastanza caotica, in pratica anche quello che è metallo non è solo metallo, il consumatore in questo ci va di mezzo. Che dovremmo fare quindi? scrivere a tutti iproduttori per consocere cosa usano?
Poi eliminare queste cose significa in poche parole eliminare tutti i prodotti a largo da super ( salsa di pomodore, tonno, bevande..)
dovremmo quindi prediligere il tetrapack?

bstucc
bstucc
27 Aprile 2013 09:15

Solito. Non è uno studio, ma un metastudio. Si ottengono i risultati che si vogliono, basta non prendere in considerazione quelli che non confermano il pregiudizio iniziale.