Gli alimenti per l’infanzia da quindici anni sono sottoposti a una severissima regolamentazione. La direttiva 2006/125/CE, recante disciplina degli alimenti destinati ai bambini di età inferiore ai 3 anni, risale al 1996 ed è stata redatta sulla base di un parere dell’allora Comitato scientifico dell’alimentazione umana (i cui compiti sono stati frattanto affidati all’Efsa), che ha tenuto conto delle esigenze nutrizionali e di sicurezza di un “target” di consumatori particolarmente vulnerabile. Da un punto di vista nutrizionale, la normativa può venire considerata come una “legge-ricetta”, in quanto definisce per ogni categoria (prodotti a base di carne, latte, pesce, frutta, etc.) i tenori minimi e massimi dei macro e dei micro-nutrienti (proteine, grassi, carboidrati, zuccheri da un lato, vitamine e minerali dall’altro).

Sotto il profilo della sicurezza alimentare la direttiva prevede limiti massimi di residui di antiparassitari che sono prossimi allo zero analitico. Per altri contaminanti (metalli pesanti quali piombo e cadmio, micotossine come aflatossine, ocratossine, patulina e altri), è lo stesso regolamento-quadro CE n. 1881/06 (che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari) a fissare limiti assai severi per le materie prime destinate agli alimenti per l’infanzia. Ed è proprio il rigore imposto nella selezione delle materie prime a spiegare gli elevati costi di produzione di tali alimenti.

D’altra parte le materie prime offerte da “madre natura” come latte, carne, pesce, frutta e  verdura – idonee e ottime per nutrire gli adulti – possono non essere sempre idonee per i bambini al di sotto dei 3 anni.  In altre parole, ciò che è sicuro per l’adulto non lo è sempre per un bambino che, nei primi anni di vita, forma il sistema immunitario e sviluppa gli organi e le funzioni vitali. Perché la sensibilità di un bimbo di età inferiore a 3 anni è assai diversa da quella dell’adulto. Anche in ragione dell’enorme divario nella rilevanza degli apporti (cioè il rapporto tra le sostanze ingerite e il peso corporeo).

Dalla teoria alla pratica, non è affatto scontata l’equivalenza tra una mela grattugiata e la carne del macellaio, da una parte, e un alimento per l’infanzia realizzato a partire da quelle stesse materie prime. Fatti salvi, in alcuni casi, opportuni trattamenti dei cibi (es. pastorizzazione).

Per concludere, il bambino dovrà certo abituarsi a mangiare come l’adulto ma questo momento non deve essere troppo anticipato in nome di una mistificatoria “naturalità” dell’alimentazione. Anche i batteri e le micotossine sono naturali, la natura non è sempre e a priori “buona”. Non per tutti.

Chi si occupa di comunicazione e tutela dei consumatori dovrebbe a sua volta superare l’opposizione quasi ideologica verso gli alimenti per l’infanzia: fornire piuttosto un’ informazione obiettiva sulle garanzie che tali prodotti offrono, e sulle procedure da seguire quando invece si intenda preparare in casa alimenti sicuri per i bimbi più piccoli. Ricordando  che una “banale” salmonella, non cosi rara nelle materie prime agricole anche “bio”, può procurare un mal di pancia a un adulto sano ma  costringere una corsa a un pronto soccorso pediatrico.

Dario Dongo