Esce promossa l’acquacoltura dal rapporto appena pubblicato dalla Fao, uno studio che in oltre cento pagine fotografa una pratica sempre più diffusa e destinata a espandersi ulteriormente – come ha fatto fin dagli anni ‘70, al ritmo del 6,6% all’anno.

Nel 2000 dalle colture provenivano 32,4 milioni di tonnellate di pesce, saliti nel 2008 a 52,5, un quantitativo che oggi assicura quasi la metà (il 45,6%, nel 2000 era il 33,8%) del pesce consumato a livello mondiale e che, secondo le stime, dovrebbe superare il 50% entro il 2012. L’altro aspetto interessante è che alcuni governi hanno promosso corrette politiche ecosostenibili, che hanno permesso di non devastare l’ambiente.

L’espansione delle colture acquatiche ha avuto varie ripercussioni positive, secondo gli esperti Fao: anche se non ci sono studi specifici, si ritiene che abbiano contribuito a risollevare le sorti di molti paesi in via di sviluppo, dove il pesce rappresenta la fonte principale di proteine animali e l’acquacoltura ha aiutato lo sviluppo delle economie locali, dando lavoro a molti pescatori e lavoratori delle aziende conserviere. Non mancano, naturalmente, grandi disparità e situazioni critiche e marcate differenze a livello regionale, nazionale e continentale.

Ci sono paesi che hanno primati oggi inarrivabili, soprattutto in Asia. In cima alle classifiche c’è infatti la Cina, che da sola detiene il 62,3% della produzione globale, ottenuta comunque per l’89,1% in Asia, dove si trovano 11 dei 15 paesi leader negli allevamenti ittici.

I grandi allevatori, inoltre, sembrano dividersi il mercato in base alle specie: se la Cina non ha rivali nella produzione di carpe, per quanto riguarda gamberi e gamberetti deve combattere con la concorrenza di Tailandia, Vietnam, Indonesia e India. I salmoni sono invece allevati soprattutto in Norvegia e Cile.

I pesci non vengono allevati ovunque nello stesso modo: in generale, nei paesi più sviluppati come il Nord America, l’America Latina e l’Europa, sono più diffusi gli allevamenti intensivi, che si avvalgono anche delle ultime scoperte scientifico-tecnologiche, mentre nei paesi a economia meno avanzata come quelli asiatici, nonostante le imponenti dotazioni tecniche, prevalgono i sistemi estensivi o misti, nei quali molti piccoli pescicoltori lavorano ciascuno per proprio conto o in reti coordinate dai governi, come sta accadendo in vari paesi africani.

Secondo la Fao, in quelle realtà le piccole imprese possono ancora garantire grandi margini di sviluppo e la crescita tumultuosa dell’acquacoltura è agevolata dalla lungimiranza di alcuni stati che nell’ultimo decennio hanno attuato progetti specifici, approvato leggi e norme adeguate, promosso inizitive locali, regionali e nazionali. Per esempio Egitto, Mozambico, Nigeria e Uganda hanno favorito molto l’iniziativa privata.

Buone notizie anche per il nostro continente. Grazie alla specifica iniziativa dell’Unione Europea del 2002, è stato possibile raggiungere obiettivi come l’allevamento ecocompatibile, la sicurezza, la salute e il benessere degli animali. E nei prossimi anni sono già in programma adeguamenti e monitoraggi da effettuare con il contributo di tutti i soggetti interessati.

Un altro fattore importante è l’applicazione di scoperte scientifiche e di innovazioni tecnologiche, che hanno portato alla produzioen di pesce  con una qualità migliore e in quantità più abbondante. È cresciuta infatti la diffusione di sistemi di sorveglianza subacquea in grado di gestire la somministrazione del cibo e di biomassa, regolare i sistemi di circolazione e ossigenazione dell’acqua e, per esempio, quella di gabbie e reti da usare solo in alcuni punti dell’allevamento. È inoltre in continua evoluzione lo studio di mangimi di derivazione animale e vegetale sempre più rispettosi dell’ambiente e della salute degli animali.

Ci sono poi alcuni esempi di ricerca avanzata, come lo sviluppo di una tilapia del Nilo (Oreochromis niloticus), salutata come uno dei più significativi risultati mai raggiunti in questo campo, o gli studi sul ciclo vitale del tonno rosso (Thunnus maccoyii), anche se la commercializzazione del seme di questo pesce è ancora un’idea futuribile.

Lo sviluppo dell’acquacoltura ha comunque provocato grandi cambiamenti nei consumi e nelle specie disponibili a livello mondiale. Così, per esempio, in Asia il gambero tigre (Paenaeus monodon), un tempo prevalente, oggi è sempre più spesso sostituito dal gambero a gamba bianca (Litopenaeus vannamei) e scalzato dalla crescita definita esplosiva del pesce gatto tigrato (Pangasianodon hypopthalmus) del Vietnam. Il settore è anche molto interessato dall’esternalizazione delle produzioni, come si vede chiaramente con il salmone del Cile.

Ciò deve spingere i governi a incrementare le procedure volte a garantire la sicurezza, la tracciabilità, la certificazione e l’ecosostenibilità del pesce proveniente dagli allevamenti. Di tutto questo devono tenere conto le autorità competenti a vari livelli, così come degli scenari più probabili nei prossimi anni, diversi da quelli attuali perché influenzati dai mutamenti climatici e dalla crisi economica.
È importante – concludono gli esperti della FAO – che si continuino a sostenere i piccoli imprenditori e allevatori, e che li si aiuti ad allevare pesce in modo ecosostenibile, se si vuole assicurare all’acquacoltura un futuro positivo.

Il settore ittico (non solo quello dell’acquacoltura) dà lavoro a quasi 45 milioni di persone nel mondo, negli ultimi trent’anni è cresciuto a ritmi molto superiori rispetto a quelli del settore agricolo e ben 40 paesi traggono la parte preponderante delle proteine animali proprio dal pesce.

Ma ciò sta causando un grave depauperamento: il 53% delle riserve ittiche si considera ormai esaurito o sfruttato a livelli massimali, mentre un altro 32% è stato impoverito o viene utilizzato in modo eccessivo o non è più disponibile perché oggetto di ripopolamento.

L’acquacoltura, a certe condizioni, può essere di grandissimo aiuto. Ma solo se si saprà realizzare in maniera intelligente e guardando oltre la resa immediata.

 

Agnese Codignola

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