allevamenti, mucche al pascolo

carne crudaNegli allevamenti italiani ed europei gli ormoni anabolizzanti per “gonfiare” i bovini da carne e rendere la carne più tenera sono vietati, ma diversi allevatori  non rispettano il divieto. Anche i controlli esistono (ogni Paese della Comunità europea attua un Piano nazionale dedicato alla sorveglianza e al monitoraggio di eventuali residui di sostanze chimiche illecite negli alimenti di origine animale) ma il sistema presenta alcune carenze.

In Italia si è deciso di fare di più e da qualche mese è attivo un nuovo Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali, istituito dal Ministero della salute presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Tra i compiti principali del Centro, quello di mettere a punto nuovi metodi di analisi e di diagnosi di sostanze illecite nelle carni bovine.

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Da qualche mese a Torino è attivo un nuovo Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali

«Per una lunga e consolidata tradizione, gli esami ufficiali che si eseguono oggi per individuare residui di anabolizzanti sono di tipo chimico» spiega Elena Bozzetta dell’Istituto zooprofilattico torinese, responsabile del nuovo Centro. Grazie all’uso di strumentazioni sofisticate, si riesce a individuare nel sangue o nelle urine di animali vivi la presenza di sostanze illecite e a caratterizzarle con precisione. In pratica, si dà un nome e cognome alla molecola che non dovrebbe esserci. «I metodi chimici, però, hanno due limiti – chiarisce l’esperta – sono molto costosi e funzionano solo dopo un breve intervallo di tempo da quando è stata somministrata all’animale la sostanza vietata. Se sono trascorsi un paio di giorni dal trattamento, le analisi non sono più in grado di identificare l’illecito».

Per questo motivo Bozzetta con il suo gruppo di ricerca lavora da anni alla messa a punto di metodi alternativi, di tipo biologico. «Stiamo parlando di tre categorie principali di ormoni: i cortisonici, gli steroidi sessuali e i tireostatici, che agiscono in modo specifico su diversi organi bersaglio, cioè rispettivamente il timo, le ghiandole sessuali secondarie, come la prostata e le ghiandole bulbo-uretrali nel bovino maschio, e la tiroide. Nel nostro laboratorio abbiamo raffinato e standardizzato un metodo istologico per analizzare questi organi». Si tratta di prelevare campioni di organi al macello, allestire dei preparati da osservare al microscopio e verificare se nei tessuti ci sono alterazioni indicative di un trattamento collegabile ad un certa categoria di sostanze. «Il metodo – continua Bozzetta – non permette di identificare la singola molecola illecita coinvolta, ma evidenzia l’esistenza di un trattamento».

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L’analisi istologica dei tessuti al microscopio ha permesso di individuare l’avvenuto trattamento con anabolizzanti nel 15% dei bovini esaminati

Oltre ai costi ridotti rispetto alle analisi chimiche, il grande vantaggio è la possibilità di individuare illeciti anche a distanza di tempo, addirittura a 2/3 mesi dalla somministrazione. Questo aspetto fa crescere inevitabilmente il numero di positività. «Se a livello europeo la media di casi positivi riscontrati con le analisi chimiche è dello 0,2% (ogni 1000 campioni analizzati, 2 risultano trattati con sostanze vietate), i monitoraggi eseguiti in Italia con metodo istologico fanno salire questo dato al 15%».

Al momento il risultato ottenuto con metodo istologico non ha valore ufficiale e legale. «È chiaro però che funziona da deterrente» afferma Bozzetta. «Da un lato, offre indicazioni in più per indirizzare i test chimici ufficiali e dall’altro lancia il segnale che qualcosa sta cambiando nel panorama dei controlli». A fianco di una normativa che è ancora di un certo tipo, sta crescendo il consenso della comunità scientifica internazionale verso i nuovi metodi alternativi.

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A livello europeo la media di bovini trattati con sostanze vietate è dello 0,2%. Se però si eseguono analisi  con il metodo istologico la percentuale arriva al 15%

«È vero che le indagini biologiche non permettono di caratterizzare con sicurezza la molecola coinvolta, ma ci dicono che c’è stato un trattamento illecito e che l’animale è stato trattato con qualcosa che non doveva essere utilizzato. Per molti scienziati è più importante sapere questo, ai fini della tutela della sicurezza del consumatore, che conoscere  nome e  cognome della molecola». Secondo Bozzetta serviranno almeno 5/6 anni perché questo cambiamento culturale porti a una modifica della normativa.

Nel frattempo, come dovrebbe reagire il consumatore sapendo che ben 15 campioni su 100 di carni avviate al macello non sono conformi alla legge? In realtà non bisogna allarmarsi troppo: il semplice fatto di avere a disposizione questi dati significa che si sta lavorando – e seriamente – per tentare di risolvere il problema. «È sempre bene rivolgersi a fornitori di fiducia, magari a produttori che si riescono a conoscere meglio, anche se la carne può costare un po’ di più» consiglia Bozzetta.  Stanno anche aumentando i fornitori e le catene di supermercati che chiedono a laboratori come quello dell’Istituto zooprofilattico piemontese di condurre indagini sugli animali commercializzati, a garanzia della loro sicurezza.

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Stanno aumentando le catene di supermercati che chiedono a laboratori di condurre indagini sugli animali a garanzia della loro sicurezza.

Intanto la ricerca continua: oltre al metodo istologico, per esempio, nel laboratorio di Torino si lavora anche alla messa a punto di altri strumenti di indagine di tipo biologico, e non solo. «Con il Politecnico di Torino abbiamo sviluppato a un metodo fisico per la determinazione nel siero del 17-beta estradiolo, uno steroide sessuale» racconta la responsabile del Centro di referenza. «Si basa su una specie di bilancia che permette di discriminare con grande accuratezza l’ormone esogeno, fornito dall’esterno, da quello endogeno, presente naturalmente nell’organismo». Ancora aperta, infine, la sfida sul fronte bovine da latte. Qui il problema principale è il trattamento con l’ormone della crescita somatotropina, una molecola che in grandi quantità è considerata tossica, ma della quale è molto difficile dimostrare la presenza e sulla quale è complicato fare ricerca. Noi, per esempio, non riusciamo neppure ad attivare dei progetti perché fatichiamo anche a reperirla sul mercato».

Valentina Murelli

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Luigi Tozzi
Luigi Tozzi
16 Maggio 2013 10:01

Il titolo dell’articolo spaccia per dato nazionale ufficiale ciò che poi è non è. Mi dispiace ma mi atterrei ai dati nazionali che conoscete bene. Se si voleva far conoscere una metodologia di analisi non si doveva fare quel titolo. Credo che ne vada dell’immagine del web magazine che finora è sempre stata molto valida

Roberto La Pira
Reply to  Luigi Tozzi
16 Maggio 2013 14:10

Il titolo riportato dall’articolo si riferisce a un dato diffuso dal Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali, istituito dal Ministero della salute e titolato ad eseguire questi controlli. Nell’articolo è spiegato bene il problema. La campionatura è forse limitata ma è molto significativa. In ogni caso un lavoro simile realizzato qualche anno fa indicava valori superiori al 20%. L’articolo non vuole essere allarmistico ma focalizza l’accento su un problema ben noto nel mondo degli allevamenti, spesso “nascosto”. Il problema vero è che le analisi chimiche servono a poco. Su questo argomento sarebbe opportuno discutere e non sui titoli.

roberto alfonsi
roberto alfonsi
16 Maggio 2013 10:21

salve sono un veterinario Ufficiale coinvolto nei controlli al macello ed ho partecipato nel 2006 alla prima fase della sperimentazione di cui si parla nell’articolo.
Due brevi considerazioni:
1)come trasformare un dato “soggettivo” derivato da una analisi biologica in un dato “oggettivo” utilizzabile in sede giudiziaria. Ad oggi nel nostro sistema giuridico l’effetto deterrente dato da una possibile sanzione e/o pena, sarebbe vanificato alla prima udienza in tribunale.
2) se passasse un concetto come sopra accennato, mi permetto di affermare che non sarebbe necessario avere dei riscontri istologici ma basterebbe ad un team di esperti terzi(veterinari, allevatori, macellai)considerare la tipologia di animale, la razza, il peso e da conformazione muscolare per dare già un parere su un possibile trattamento non consentito.
Ma saremmo sempre nel campo delle “illazioni” e torniamo al punto dolente della necessità della dimostrazione in sede giudiziaria.

Valeria Nardi
17 Maggio 2013 16:40

Ci urge precisare che siamo spiaciuti dall’impressione generata dal titolo che tende a sviare l’attenzione del lettore dai pregnanti contenuti dell’intervista.
Nello specifico, nella medesima rilasciata al vostro prezioso sito di informazione sulla sicurezza alimentare, il CIBA non intendeva assolutamente lanciare allarmi e tantomeno, mettere in cattiva luce l’Italia rispetto agli altri Paesi Europei.
Nell’intervista vengono citati due dati impropriamente confrontati tra di loro, forse per un eccesso di sintesi del discorso. I due dati non sono direttamente paragonabili in quanto le positività europee nell’ordine dello 0,2% dei campioni testati determinati con metodi chimici in grado di identificare la singola sostanza, sono certamente ascrivibili a trattamenti illegali ed hanno valore legale. Di contro, le positività istologiche pari al 15% dei campioni testati sono generiche positività che non identificano la specifica sostanza ma un cambiamento morfologico indotto e soprattutto non hanno valore legale. Il dato ufficiale italiano, riportato dal Ministero della Salute, e’ in realtà pari a 0.19% per cui leggermente inferiore al dato europeo.
Il nostro obiettivo è quello di promuovere le nuove tecniche utilizzate in una ormai annosa battaglia contro il trattamento illecito degli animali destinati all’alimentazione umana. Il nostro titolo ideale sarebbe stato: “Un nuovo Centro per nuove tecniche diagnostiche a tutela della produzione di carne più sana”.

Emilio Bazzocchi
Emilio Bazzocchi
21 Maggio 2013 15:25

ritengo tutti i 4 commenti precedenti validi e pertinenti, soprattutto per quanto riguarda la difficoltà di dare un valore giuridico alla metodica istologica proposta dal nuovo Centro di referenza dell’IZSPLV; tale metodica potrebbe però essere usata dai Veterinari Ufficiali come test di screening per individuare gli allevamenti su cui concentrare la propria attenzione; la scarsa efficacia dei test chimici potrebbe almeno aumentare un pochino…..