Cosa c’è di più semplice del tonno conservato? Un trancio di pesce cotto a vapore in olio d’oliva o, addirittura, solo pesce. Ma un’indagine di Greenpeace  – pubblicata nel Rapporto A scatola chiusa – ha appena scoperto che una scatoletta su tre contiene specie differenti di tonno mescolate insieme, oppure una specie diversa rispetto a quella indicata in etichetta o, ancora, specie di tonno variabili a seconda del lotto di provenienza.

In ogni caso, il consumatore non può sapere esattamente quale tonno (magari appartenente a specie a rischio di estinzione) sta mettendo nel piatto. Anche perché l’etichetta risulta molto vaga.

Lo rivelano i risultati delle analisi genetiche condotte dal laboratorio indipendente spagnolo AZTI Tecnalia su 165 scatolette provenienti da 12 Paesi – Italia compresa – appartenenti a marche molto popolari. Tra le altre Nostromo, Mare Aperto STAR, Riomare e Carrefour.

L’esame del Dna ha verificato che 50 campioni (il 30% del totale ) contenevano due specie diverse (per esempio, tonno pinna gialla e tonno obeso) in un’unica scatoletta (pratica vietata dalla legislazione europea) oppure specie di tonno differenti in confezioni con lo stesso marchio e con lo steso lotto o, ancora, una specie di tonno che non corrispondeva a quella riportata sulla confezione.

Il tonno Nostromo e Mare Aperto STAR, testati in Italia e provenienti da stabilimenti di produzione spagnoli, hanno rivelato specie di tonno differenti in confezioni con lo stesso marchio e con lo stesso lotto. In questi casi, non c’è niente di illegale, ma l’etichetta risulta un pò troppo generica quando indica tra gli ingredienti la semplice parola “tonno”, senza altre precisazioni.

Secondo Greenpeace una dicitura così vaga non è corretta nei confronti del consumatore, perché non consente di compiere acquisti consapevoli, con la certezza di gustare un alimento ottenuto con metodi di pesca rispettosi della fauna ittica e dell’ambiente marino. «Il consumatore è lasciato all’oscuro – dice Giorgia Monti, responsabile delle Campagne Mare di Greenpeace Italia, al Fatto alimentare – Dà fiducia a un prodotto che si chiama sempre “tonno in scatola”, ma non sa di non mangiare sempre lo stesso pesce. La parola “tonno” indica ben 23 specie diverse, anche dal punto di vista della sostenibilità, perché alcune sono a rischio di estinzione e altre potrebbero diventarlo a breve».

Continua Monti: «Ci sembra inaccettabile che per il pesce fresco la legge pretenda la totale tracciabilità – con l’indicazione dell’area di pesca e dell’origine da esporre sul banco – imponendo l’assoluta trasparenza ad aziende anche assai piccole, e non faccia altrettanto con le multinazionali conserviere e per un prodotto tra i più consumati come il tonno in scatola».

Altri risultati interessanti dell’indagine di Greenpeace riguardano marchi provenienti da altri paesi, ma che sono venduti anche sul mercato italiano. 

Il tonno Riomare testato in Germania e Olanda ha rivelato la presenza di specie diverse nello stesso lotto e addirittura di due specie diverse di tonno mescolate nella stessa lattina.

Nei prodotti Calvo (compagnia proprietaria del marchio Nostromo), analizzate in Spagna, si è accertata la presenza di tonno obeso e tonno pinna gialla mescolati nella stessa scatoletta.

Carrefour, esaminato in Grecia, ha rivelato diverse specie di tonno in scatolette di uno stesso prodotto provenienti da lotti diversi. È stata accertata anche la presenza di tonno obeso in scatolette che invece indicavano sull’etichetta la presenza di tonno pinna gialla.

Di fronte a questi dati puo capitare di aprire a tavola più scatolette della stessa marca e mangiare un “tonno” diverso.

La presenza di un’indicazione errata sull’etichetta è una frode in vari Paesi. L’art. 2 della Direttiva Europea 2000/13/EC del 20 Marzo 2000 afferma che l’etichetta non può confondere il consumatore rispetto alle caratteristiche del prodotto, riferendosi in particolare alla sua «natura, identità, proprietà, composizione, quantità, durata, origine o provenienza, metodo di produzione, …»

Le analisi, infine, hanno rivelato che tra le specie di tonno inscatolate ci sono anche quelle i cui stock sono in via di esaurimento per l’eccessiva cattura di esemplari giovani, come per esempio il tonno obeso.

Secondo Giorgia Monti, non c’è da parte delle aziende una volontà di ingannare il consumatore, ma sicuramente leggerezza e disinteresse: «Le industrie conserviere approfittano del fatto di essere in regola da un punto di vista formale per acquistare gli stock di pesce econimicamente più convenienti, senza preoccuparsi di come sono stati catturati, in quali zone e nemmeno di quali specie di tratta e se sono al collasso».

Ma perché tutta questa confusione? Uno dei principali fattori è l’utilizzo di metodi di pesca poco sostenibili, come le reti a circuizione con “sistemi di aggregazione per pesci” o Fad, sistemi di cattura che attirano esemplari giovani di tonno, altri pesci e specie minacciate – per esempio le tartarughe marine o lo squalo balena – che finiscono uccise da queste reti in modo accidentale. Una volta pescati, pesci diversi vengono conservati e congelati tutti insieme a bordo e la loro identificazione risulta difficile.

Greenpeace riaccende così i riflettori sullo sfruttamento esagerato del tonno – e i danni collaterali per altre specie – dopo il lancio della classifica “Rompiscatole”, (Il fatto alimentare se ne è occupato nell’articolo “Tonno in scatola: Greenpeace boccia le marche italiane”). 

Alla luce dei risultati di queste nuove analisi, l’associazione ambientalista torna a chiedere all’industria alimentare (in particolare alle aziende che occupano la fetta più grande del mercato italiano) e alle catene di distribuzione di garantire piena trasparenza ai consumatori e di impegnarsi a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile.

«Il consumatore è costretto a essere “complice” suo malgrado dello sfruttamento indiscriminato degli oceani – sottolinea Giorgia Monti – Con le nostre campagne, cerchiamo di sensibilizzarlo perché se richiede un prodotto alimentare il più possibile rispettoso dell’ambiente naturale, le aziende conserviere saranno stimolate a chiedere a loro volta a chi pesca una maggiore cura delle specie, per esempio con il metodo “pole and line” che permette la cattura solo di esemplari di tonno più grossi, in quantità minori ma così più facili da riconoscere».

Mariateresa Truncellito

foto: photos.com

© Il Fatto Alimentare 2010 – Riproduzione riservata

Per scaricare rapporto A scatola chiusa: http://www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/rapporti/tonno-dna-scatolette

La ricerca completa del laboratorio AZTI Tecnalia:

http://www.greenpeace.org/international/Global/international/publications/oceans/2010/azti_tinned_tuna_report_IA10GP1A FINAL.pdf

Per saperne di più

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