bambini africa

Servono 2,5 miliardi di dollari per affrontare la tragedia umanitaria nel Corno d’Africa, secondo le Nazioni Unite. La fame in Somalia anzitutto. Ma gli aiuti internazionali scarseggiano e le parole non bastano a sfamare né i bambini né le loro famiglie.

A oggi, 1 settembre, manca 1 miliardo di dollari. Il “World Food Program” riporta che solo il 20% dei bisognosi in Somalia sta ricevendo aiuto. Del resto già al vertice FAO di luglio “Save the Children” aveva confermato che 1 milione di bambini nella sola Somalia versano in stato di grave malnutrizione. Responsabilità diffuse, appelli ignorati.

Già Antonio Guterres dell’Agenzia ONU per i Rifugiati (Unhcr) aveva identificato il Corno d’Africa quale teatro della peggior crisi umanitaria del 2011. Peggio della Libia, del cui dramma abbiamo maggiori notizie.

La carestia, così ampia e persistente, ha innescato una serie di disgrazie che vanno ben oltre la fame:

– salute pubblica. Ora il rischio del propagarsi di colera e dissenterie, domani gli effetti cronici della denutrizione.

– sicurezza. Nei campi profughi sovraffollati (come quello di Dadaab, oggi la terza città del Kenya per numero di abitanti) le donne sono esposte a violenze, i piccoli orfani corrono il rischio di smarrirsi. La vigilanza su quasi mezzo milione di persone non è semplice.

– sostentamento. Migliaia di capifamiglia hanno ceduto le abitazioni e tutti i loro averi per procurare il cibo, i pastori hanno perso i loro animali. Bisognerà organizzare gli aiuti affinché tutti, conclusa l’emergenza, possano provvedere al loro sostentamento. Aiuti all’agricoltura e alla pastorizia dunque.

Quanto alla solidarietà internazionale, si può definire eccellente la “performance” dei donatori privati, che hanno già raccolto 150 milioni di dollari. E si può andare oltre: basta un Sms o una donazione via telefono. Se il tam tam funziona, grandi numeri di pur piccole cifre possono realizzare miracoli.

Tra i governi, la pole position spetta agli Usa, con un impegno di 530 milioni, e alla Gran Bretagna con 168. In seconda fila Commissione europea (96) e Giappone (88), Australia (76), Canada (73). Sulla terza linea Arabia Saudita (51) e Svezia (48). Seguono Cina (39), Francia (37), Danimarca (35), Germania (34), Spagna (33), Brasile (32).

Fuori dello scacchiere politico degli aiuti l’Italia (8), con meno della metà di quanto offerto da piccoli Stati come Norvegia e Olanda (18) ma anche al di sotto di Finlandia (15), Belgio (13), Svizzera (10).

I governi dell’Unione Africana, riuniti la settimana scorsa ad Addis Abeba, hanno stanziato 46 milioni di dollari per affrontare la crisi del Corno d’Africa. In testa Algeria (10 milioni), Angola (5) ed Egitto (5). Note di merito a Gambia, Mauritania e Congo – Brazzaville. Sonori fischi alle misere offerte dei governi di Nigeria (2) e Sud Africa (1,3 al netto delle donazioni individuali).

“Africans Act 4 Africa”, Ong che raccoglie fondi nell’intero continente, aveva definito in 50 milioni l’obiettivo minimo da raggiungere in questa fase: «Se Andrew Adansi-Bonnah, un ragazzo di 11 anni, rinuncia alla scuola e viaggia dal Ghana all’Etiopia per dimostrare il suo impegno a raccogliere fondi e aggiungere la sua voce, come è possibile che i leader di molti Stati africani non abbiano fatto lo stesso? Se davvero crediamo nelle soluzioni africane ai problemi africani, dobbiamo dimostrarlo in modo chiaro con le azioni e non solo a parole».

La mobilitazione della società civile africana nei confronti dei rispettivi governi perciò prosegue, come attesta Kumi Naidoo, Direttore esecutivo di Greenpeace International: «Dobbiamo riferirci ai nostri governanti in Africa perché mostrino leadership. Così come sono capaci di reperire risorse per le guerre o le auto di lusso, devono ora trovarle per affrontare l’emergenza della fame nel Corno d’Africa. Non possono cavarsela con gli scarsi contributi sinora offerti». Gli fa eco Youssou NDour: «Nessuno dovrebbe morire di fame, non ora, non nel ventunesimo secolo. Mi appello anche agli africani perché agiscano, ora, in Somalia».

Gli aiuti più consistenti proverranno dalla “Organisation of the Islamic Conference” (Oic), i cui Paesi hanno concordato un impegno di 350 milioni a favore della Somalia, in un vertice straordinario organizzato la settimana scorsa a Istanbul. Il Segretario generale Ekmeleddin Ihsanoglu è fiducioso di aumentare presto gli aiuti a 500 milioni. La “African Development Bank” ha  a sua volta annunciato una donazione di 300 milioni, per lo sviluppo di lungo termine in Corno d’Africa.

Asha-Rose Migiro, vicesegretario generale delle Nazioni Unite, ha portato alla conferenza di Addis Abeba un pensiero che vale per tutti: «È in gioco il bilancio di un’intera generazione. Se non rispondiamo, le conseguenze si riverbereranno per anni. I nostri figli ci chiederanno come abbiamo potuto restare fermi a guardare una generazione morire, come abbiamo permesso che una crisi diventasse una catastrofe quando invece avremmo potuto fermarla».

Lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon – nel sottoscrivere la “Global Call to Action against Poverty” – aveva sottolineato il nostro dovere di relegare la povertà alla storia. Nel 2008 gli Stati aderenti all’ONU hanno assunto ulteriori impegni finanziari per la garanzia dei diritti fondamentali al cibo, all’acqua potabile, all’educazione. Nell’ambito dei c.d.  “Millennium Development Goals”.

Proprio per stimolare i governi a rispettare gli impegni assunti, è stata lanciata la campagna “In my name”: nel mio nome, chiedo al governo che mi rappresenta di dimostrare la sua responsabilità e di rispettare le promesse. La povertà miete 50.000 vite ogni giorno, un bambino ogni 5 secondi.

Circa la metà della popolazione mondiale vive con meno di 2 dollari al giorno. Le scelte non sono facili: dare un pasto alla famiglia almeno una volta al giorno oppure mandare i bimbi a scuola o comprare loro una “mosquito net” per proteggerli dalla malaria? Per essere la generazione che mette la fine alla povertà, dobbiamo agire ora affinché i governi rispettino gli impegni presi nel 2008. Hanno promesso di dimezzare la povertà estrema entro il 2015, di farla scomparire entro il 2025. Ma anche di ridurre dei tre quarti i casi di mortalità durante il parto, dei due terzi la mortalità dei bambini sotto i cinque anni di età, di fermare l’avanzata di Aids, malaria e altre malattie croniche, di garantire l’educazione primaria tutti.

“Make poverty hystory, Be the Generation”, è l’invito ripetuto pure da Nelson Mandela. Suggestivo, davvero. Non si può scegliere il posto dove nascere, si può decidere il mondo che creiamo. Come sarà il finale?

foto: Tony Karumba Stringer AFP Getty Image

Per maggiori informazioni:

The Guardian (UK), rubrica “Update: Aid for the food crisis in the Horn of Africa – get the data”, aggiornamento settimanale sui flussi di aiuti destinati al Corno d’Africa.

“African Union summit struggles to raise funds to combat Horn of Africa crisis”, articolo di Mark Tran su The Guardian, 25.8.11.

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