Save and Grow” è il dossier che descrive la sfida alimentare della Fao per il prossimo decennio. Le parole sintetizzano bene il nuovo modo di affrontare un problema che ormai coinvolge produttori, consumatori e agricoltori di tutti i Paesi. “E’ impensabile proporre un modello di crescita come quello degli anni 60 – spiega Caterina Batello del dipartimento di Agricultura e protezione del consumatore della FAO – basato sull’incremento delle superfici coltivate, sulla selezione di piante ad alta resa e sull’uso un po’ indiscriminato di fertilizzanti e pesticidi. La produzione agricola mondiale nei prossimi anni deve crescere del 60% e il salto qualitativo può avvenire solo in sinergia con l’ambiente, sfruttando le risorse e le opportunità della natura senza deturpare il territorio”.

Si tratta di regole che impongono il rispetto degli ecosistemi, un miglior sfruttamento delle risorse naturali e l’abbandono degli sprechi. Nella coltivazione di riso in Cina meno del 30% dell’azoto presente nei fertilizzanti viene utilizzato e, la rimanente quota viene sprecata finendo nel terreno, fiumi e laghi. Bisogna sfruttare meglio le risorse, come ad esempio il lavoro a costo zero degli insetti impollinatori valutato dalla Fao in 153 miliardi di euro l’anno.

“Alla base di una buona produzione agricola – continua Batello – c’è la necessità di una maggior conoscenza. Nei campi occorre scegliere tecniche di conservazione del suolo, arare in modo meno profondo per mantenere la superficie fertile lasciando i residui delle coltivazioni e alternando le colture cerealicole con le leguminose. Un altro aspetto decisivo è l’irrigazione di precisione, per produrre di più con meno acqua, ed un impiego ragionato dei fertilizzanti per cercare di  raddoppiare l’ammontare di nutrienti assorbiti dalle piante”.

Oggi per valutare la convenienza di un prodotto occorre pensare alla sua impronta ecologica, ovvero misurare il consumo di territorio, di acqua, di aria, valutando l’aspetto energetico e altri elementi come l’effetto sulla biodiversità e l’ecosistema.

E’ inoltre necessario gestire in modo integrato la lotta ai parassiti riducendo i pesticidi. Tutti questi metodi permettono di diminuire l’uso di acqua ed energia nel settore agricolo, e possono contribuire ad aumentare la produzione (le rese dei coltivatori che hanno seguito queste tecniche in 57 paesi a basso reddito sono aumentate di circa l’80%).

Sarebbe però miope focalizzare l’attenzione solo su queste cose, servono scelte politiche adeguate e una gestione intelligente dei sussidi agricoli, che non devono mirare come succede adesso, solamente  ad incrementare le rese per ettaro. Occorre premiare chi produce rispettando l’ambiente. Il discorso riguarda anche i consumatori che orientano il mercato con le loro scelte di acquisto e vanno informati sulle corrette scelte alimentari.

L’efficienza e il rispetto dell’ecosistema può anche voler dire ridurre i consumi di carne, a favore di una migliore qualità e di una dieta più equilibrata. Sarebbe infine utile indirizzare una parte dei sussidi agricoli verso la rivalutazione della carne prodotta da animali allevati a pascolo, poiché un terzo della superficie del nostro pianeta è coperta di pascoli e milioni di agricoltori e pastori potrebbero trarre beneficio. La carne prodotta pascolando gli animali, oltre ad avere un più sano rapporto di acidi grassi omega 6 ed omega 3, è prodotta nel rispetto del benessere animale, della biodiversità. Per sostenere un mondo globalizzato servono soluzioni collettive, servono conoscenze individuali per orientare gli acquisti verso prodotti stagionali, locali e rispettosi dell’ambiente riducendo gli sprechi. L’agroindustria europea deve seguire, assecondare e incentivare questo percorso.

Roberto La Pira

Articolo pubblicato su Nova-il Sole 24 ore del 16 ottobre 2011