“Lo Stato di Sabah è pronto a vietare la pesca degli squali entro la fine dell’anno” ha esordito Datuk Seri Masidi Manjun, Ministro del Turismo, della Cultura e dell’Ambiente malaysiano, alla conferenza stampa per la presentazione della “Shark Fin Soup Exhibition”, che si terrà nella capitale Kota Kinabalu, il prossimo 11 novembre. L’evento, organizzato dalla Sabah Shark Protection Association (SSPA) e dalla Royal Empurau, ha lo scopo di mostrare l’insostenibilità (e brutalità) dello spinnamento degli squali (o shark finning) e darà al pubblico la possibilità di assaggiare la zuppa di pesce Empurau, un piatto che rappresenta la migliore alternativa alla zuppa di pinne di squalo.

La pratica dello shark finning consiste nel tagliare le pinne degli squali mentre questi sono ancora vivi; il resto del corpo viene poi rigettato in mare, dove l’animale agonizza per giorni prima della morte. Le pinne vengono essiccate e vendute, per lo più illegalmente. Il mercato delle pinne “pesa” 8 tonnellate/anno, e le pinne possono essere vendute a più di mille dollari/kg. Un singolo squalo vivo può avere invece un valore turistico di 800 mila dollari, soprattutto grazie al crescente numero di escursionisti che richiedono immersioni adrenaliniche. Per questo, le Autorità dello Stato malaysiano nel nord del Borneo già da tempo si battono per modificare la legislazione nazionale in materia di pesca, per bandire lo shark finning e limitare la pesca delle specie di squali vulnerabili. Il divieto in questione, tuttavia, riguarderebbe solo i sei parchi marini nazionali, che coprono un’area totale di circa 1 milione di ettari, corrispondenti al 7,4% delle acque di Sabah.

La pratica dello shark finning è largamente diffusa a livello internazionale

È un imperativo ecologico ed economico proteggere gli squali nelle nostre acque: con il turismo, gli animali vivi e allo stato brado generano più reddito che come alimento“. Le pinne di squalo hanno un importante valore culturale: vengono utilizzate in un tradizionale piatto cinese, la zuppa di pinne di squalo o “zuppa di ali di pesce”, popolare sin dai tempi della dinastia Ming. In passato, la pietanza veniva offerta dall’Imperatore agli ospiti illustri. Il suo consumo ha risentito dell’aumento della popolazione asiatica, in particolare delle classi più agiate, ed è ancora uno status symbol servirla durante le cene di rappresentanza e i matrimoni. La zuppa è insapore e non ha particolari proprietà nutrienti, ma è il suo valore culturale a decretarne il prezzo: da 50 a 400 dollari/porzione.

Negli ultimi due decenni la pratica dello spinnamento è stata largamente discussa a livello locale e internazionale, e ovunque nel mondo, si stanno creando spontaneamente movimenti per la salvaguardia degli squali. Anche la Cina (il più grande importatore e consumatore nel mondo) si è schierata dalla parte dei predatori dei mari e, dal 2013, ha proibito la zuppa di pinne durante le cene ufficiali di Stato: il popolare piatto ha visto crollare le richieste sul mercato dell’82% circa, ma rimane una pietanza ambita. Dall’altra parte del mondo, l’Europa è uno dei maggiori esportatori di pinne verso l’Asia: Spagna, Francia, Inghilterra e Portogallo sono tra i primi 20 Paesi per la cattura degli squali, e complessivamente sono secondi solo all’Indonesia.

Aderick Chong, cofondatore della SSPA, ha dichiarato che un gran numero di ristoranti che servivano ancora zuppa di pinne di squalo nel 2015, stanno ora cambiando rotta. “Comprendiamo la sensibilità della gente, specialmente delle generazioni più anziane, che credono nella tradizione e nel cerimoniale associato a questo piatto popolare. Ma il movimento anti-spinnamento ha guadagnato consensi a livello mondiale, dove molti ristoranti e alberghi importanti hanno tolto la zuppa dai loro menu. Negli ultimi anni è accresciuta la consapevolezza anche tra i sabahans e, soprattutto le nuove generazioni, cercano attivamente alternative culinarie“.

La carne degli empurau è molto pregiata e i piatti a base di questo pesce possono arrivare a costare fino a 400 dollari a porzione

Punta di diamante del meeting di novembre sarà la presentazione di un piatto che incoraggia gli sforzi contro il consumo della carne di squalo. Mikhail Razak Harris, CEO di Go Seafood, afferma di aver collaborato con executive chef pluristellati per ideare una portata alternativa alla zuppa di pinne di pescecane. L’ingrediente principale è l’empurau, un pesce d’acqua dolce del sud-est asiatico, considerato una risorsa sostenibile, prestigiosa e redditizia. È infatti noto come uno dei cibi più costosi del Paese: può costare fino a 400 euro/porzione. “È una sfida difficile ma penso che abbiamo creato qualcosa che sorprenderà i presenti, nonché futuri clienti – ha affermato Harris – Coloro che vogliono offrire una ricca zuppa per il loro matrimonio, possono servire costosi pesci di acquacoltura, come l’empurau”. Molto simili alle carpe, i grandi empurau hanno una carne ricca e delicata, grazie a una dieta a base di frutti selvatici che cadono direttamente dagli alberi nei fiumi. Oggi questi pesci non fanno più parte della dieta dei pescatori nativi e sono pescati solo per profitto: un solo empurau può valere mesi di guadagno. I tentativi di acquacoltura sembrano avere un buon potenziale e la LTT Aquaculture ha ricevuto un finanziamento governativo nel 2012 per la ricerca sugli empurau in cattività.

Ogni anno vengono uccisi nel mondo 90/110 milioni di squali e uno dei maggiori responsabili è il mercato delle pinne, con circa 70/80 milioni di esemplari/anno. Sono 20 le specie di squalo tra gli animali iscritti nella lista a rischio estinzione: la speranza è che un pesce allevato in acque dolci possa allentare la fragilità biologica del più temibile predatore marino.

Mara Ferrari

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