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La Regione Veneto ha diffuso i risultati del biomonitoraggio condotto dell’Istituto superiore di sanità (ISS) sugli alimenti ricavati dai terreni contaminati da Pfas, sostanze perfluoroalchiliche riconosciute come interferenti endocrini correlati a patologie riguardanti pelle, polmoni e reni. L’inquinamento, scoperto nel 2013, interessa una sessantina di Comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova, e probabilmente è in corso da decenni dato che la principale fonte sospettata è l’impianto della Miteni, entrato in attività nel 1964 e specializzato nella produzione di molecole fluorurate per la farmaceutica, l’agricoltura e l’industria tecnica. Veicolati dall’acqua, i Pfas hanno contaminato anche la catena alimentare. L’ISS ha stimato che 250 mila persone abbiano utilizzato per anni acqua potabile inquinata da queste sostanze e che siano 60 mila quelle interessate da un livello maggiore di contaminazione.

Secondo la Regione Veneto, i risultati del biomonitoraggio dell’ISS sugli alimenti “non evidenzia particolari criticità e gli esiti sono tranquillizzanti”. Gli alimenti di origine vegetale sono risultati esenti da contaminazione rilevabile da Pfos (acido perfluorottansulfonato) e Pfoa (acido perfluoroottanoico) “ad eccezione di alcuni campioni di mais, i cui livelli di Pfoa erano in ogni caso estremamente bassi”, mentre tra gli alimenti di origine animale, “il latte, il muscolo bovino e quello avicolo hanno mostrato per Pfos e Pfoa contaminazioni assenti o trascurabili”

Nel fegato di maiale e nelle uova di produzione casalinga sono stati riscontrati livelli variabili di Pfas

La situazione è diversa negli alimenti di produzione casalinga, dove il fegato, in particolare quello suino, e le uova “hanno mostrato, in una percentuale significativa di campioni, livelli variabili di contaminazione per Pfos e Pfoa”. Anche in alcuni campioni di muscolo suino è stata rilevata presenza dei contaminanti. La causa è individuata nell’abbeveraggio degli animali ai pozzi. La Regione afferma che “il contributo di tali alimenti in termini di esposizione ai contaminanti risulta tuttavia estremamente ridotto anche nello scenario cautelativo adottato”.

Livelli di contaminazione più significativi sono stati invece riscontrati nelle specie ittiche di cattura, tanto che la Regione ha emesso un’ordinanza che vieta per un anno il consumo di pesce pescato nelle acque superficiali in tutti i 21 Comuni della cosiddetta “zona rossa”.

Complessivamente, sono stati prelevati 614 campioni di alimenti di origine vegetale e 634 campioni di alimenti di origine animale. Gli alimenti vegetali campionati sono stati: frutta (mele e pere da tavola), uva da vino, ortaggi (patate, radicchio, pomodori, asparagi, cipolle, lattuga/lattughino e altre verdure a foglia, fagiolini, zucchine, peperoni, zucca, piselli, cavoli, fagioli) e cereali (mais). Quelli di origine animale: muscolo e fegato di suini, avicoli e bovini da carne, oltre che latte, uova e pesci di cattura.

La Regione Veneto ha vietato per un anno il consumo di pesci pescati nelle acque dei 21 Comuni della zona rossa

Un invito alla prudenza viene da Greenpeace, il cui responsabile della campagna inquinamento, Giuseppe Ungherese, dichiara: “La Regione Veneto finalmente diffonde per la prima volta dati seri e credibili sulla contaminazione dei prodotti alimentari anche se parziali e limitati solo ad alcune delle aree inquinate. Pur rientrando nei livelli di sicurezza indicati dall’Efsa – che per ammissione dello stesso ministro della Salute Lorenzin presto saranno rivisti – i dati presentano alcune importanti criticità, in particolare nelle specie ittiche, nel fegato di suino (prodotto molto impiegato nella cucina veneta) e nelle uova di produzione familiare. Riteniamo che sia necessario prestare massima attenzione nel consumo di alcuni prodotti locali e soprattutto individuare e fermare le fonti di contaminazione da Pfas per non aggravare la situazione ambientale”.

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