Duilio Giammaria non ha intervistato le grandi aziende di pasta in un programma durato 80 minuti

Petrolio, il programma di Rai 1 andato in onda il 6 luglio 2017, ha dedicato l’ultima puntata alla pasta, focalizzando l’attenzione sul grano duro, sui contaminanti, sui grani antichi e su altri aspetti correlati all’alimento principe nella dieta degli italiani. Nel corso degli 80 minuti abbiamo visto servizi girati presso grandi e piccoli stabilimenti, e in studio sono stati intervistati diversi ospiti. Si è parlato del grano importato, lasciando intendere che il grano canadese è un prodotto  con un alto tenore di contaminanti – anche se i livelli sono inferiori ai limiti di legge. In un servizio abbiamo visto l’analisi di due tipi di pasta, con l’attribuzione del maggior contenuto di micotossine a quella preparata con grano importato  (scelta in modo abbastanza arbitrario). Tra le interviste è stato dato un certo rilievo a  Roberto Moncalvo di Coldiretti, che ha attaccato il grano straniero, lasciando intendere l’esistenza di una competizione sleale nei confronti del prodotto nazionale. Altri soggetti hanno supportato questa tesi. Per fortuna in una manciata di secondi viene detto che la quantità del grano italiano è insufficiente, che viene sempre venduto e che quello importato costa il 20-30% in più perché considerato di migliore qualità.

L’Italia ha bisogno di grano duro perché non ne produce a sufficienza. Quello straniero è di qualità superiore e viene pagato il 20-30% in più

Pur rispettando le scelte del programma, c’è un elemento che da un punto di vista giornalistico è molto difficile da giustificare. In 80 minuti il conduttore del programma Giammaria Duilio non ha trovato spazio per chiedere ai grandi produttori un parere sui temi come l’etichettatura, l’importazione, la qualità chimica e microbiologica della materia prima. Questa scelta redazionale inficia l’intero servizio che inevitabilmente perde di credibilità. In realtà la telecamera è entrata in un pastificio industriale, ma solo per riprendere il processo produttivo.  Altrettanto anomalo risulta il comportamento di Paolo Barilla, presidente dell’associazione delle aziende produttrici di pasta Aidepi, che ha aperto le porte dell’azienda di famiglia per mostrare i formati elaborati da una stampante 3D, ma non ha voluto (o non ha potuto) rilasciare dichiarazioni sui temi caldi trattati nel programma e che riguardano l’intero settore.  Giammaria ha perso l’occasione per dire agli italiani che la nostra pasta ha bisogno del 20-30% grano importato da Australia, Francia, Canada e altri paesi e che senza questa materia prima non saremmo i migliori produttori del mondo.

Analisi di due tipi di pasta, con l’attribuzione del maggior contenuto di micotossine a quella preparata con grano importato (scelta in modo abbastanza arbitrario)

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Costante
Costante
16 Luglio 2017 16:53

La RAI si associa a chi diffonde panzane e dà credito alle bufale di Coldiretti cui non crede più nessuno. E noi continuiamo a pagare il canone per essere disinformati in tal modo.
Quanto a Guido Barilla ha fatto bene a non farsi trascinare in una valutazione sbagliata sui grani esteri e sui contaminanti impostata da Giammaria: mai mescolarsi alle panzane !

ROBERTO BARTELUCCI
ROBERTO BARTELUCCI
16 Luglio 2017 19:22

non sono d’accordo….. il programma è stato organizzato non bene, ma é palese che oggi viene macinato molto più del 30% di grano estero senza nessun controllo, inoltre spesso il nostro buon grano viene svenduto per essere esportato in nord Africa ed utilizzato per fare couscous gli industriali sono dei potenti e gli agricoltori dei servi della gleba, ma di questo passo finiremo tutti in malomodo,
un agricoltore

Andrea
Andrea
Reply to  ROBERTO BARTELUCCI
20 Luglio 2017 08:31

Buon giorno
infatti la quota importata di grano di estero è 150, considerando 220 la quantità prodotta di pasta, 100 è il consumo interno e 120 la quantità di pasta esportata all’estero. Mi spiega i 150 in Italia dove li troviamo? Inoltre se il grano estero costa il 20/30% in più dell’Italiano, qual’è il vantaggio economico di importarlo? E perché si svende per essere esportato in nord Africa non conviene utilizzarlo da noi visto che costa meno? Se è “onesto” per le sue caratteristiche è meglio il grano Italiano o Estero?E se gli industriali sono “potenti” e sono in 300 quelli del settore cosa possono contro milioni di agricoltori e il loro “peso” politico e organizzativo, avete fatto fallire Federconsorzi che poteva essere un gioiello per una politica di settore, non siate ottusi nella difesa corporativa semplicemente per alzare il prezzo non per la Qualità ma solo per ricattare un settore!.

vincenzo
vincenzo
Reply to  ROBERTO BARTELUCCI
20 Luglio 2017 19:07

Fatico a trovare un senso nei suoi discorsi.
Gli industriali sono pochi, ben organizzati, con forte potere economico e politico e spalleggiati dai grossisti. Gli agricoltori sono tanti, disorganizzati, poco istruiti e rappresentati da una organizzazione che non è capace (o forse non vuole) di fare i loro interessi.

Del resto se il numero di persone appartenenti ad una qualsiasi categoria fosse sufficiente a garantire loro del potere, allora vivremmo in un mondo ideale, senza poveri e con un equa distribuzione della ricchezza.

Lei parla di “ottusità” per far alzare il prezzo, ma io le dico che i prezzi rilevati nel 2016 erano gli stessi di 30-40 anni fa, mentre i profitti delle aziende sono cresciuti a dismisura.
Parlerebbe ancora in questi termini se domani il suo stipendio diventasse quello di 30 anni fa?

Per garantire il pareggio al produttore (non il guadagno, il pareggio..) il prezzo di vendita del grano duro deve essere di 300€/t, ma attualmente è di 220€/t.
Lei lo coltiverebbe un campo di grano in queste condizioni?

vincenzo
vincenzo
17 Luglio 2017 00:20

Coldiretti e Barilla stanno recitando la loro parte, questo tipo di informazione sta bene ad entrambi.

L’industria manipola sistematicamente il mercato e riesce ad accaparrarsi il prodotto italiano sottopagando gli agricoltori e Coldiretti condiziona l’opinione pubblica per costringere il governo a mettere nel piatto milioni di euro di incentivi.

Da tutto ciò cosa viene fuori?

– l’agricoltura è in costante declino e la produzione futura è seriamente a rischio
– il consumatore paga la pasta due volte, la prima alla cassa del supermercato e la seconda quando paga le tasse che servono a compensare il maltolto agli agricoltori
– l’industria continua a trarre profitti enormi

Mi duole constatare che anche in questo blog non si fa altro che ripetere pedissequamente i comunicati stampa di Aidepi & Co, senza muovere alcuna critica verso coloro che stanno portando alla rovina un settore che dovrebbe un’eccellenza del nostro paese.

vincenzo
vincenzo
Reply to  vincenzo
17 Luglio 2017 10:52

Ed in questi 6 mesi quanti post avete scritto per evidenziare i reali problemi del settore? Vi siete mai chiesti come è possibile che in una filiera così importante ci sia chi realizza guadagni enormi e chi va in perdita?

Queste polemiche sono una farsa, realizzate per mantenere intatto lo stato attuale delle cose. E’ facile prendersela con la testa di legno di turno, che si chiami Grano Salus o Coldiretti. Le sparano talmente grosse che alla fine l’immagine dell’industria ne viene fuori più pulita di prima.

Sergio
Sergio
17 Luglio 2017 09:02

Peccato che è stato solo accennato per pochi secondi il fatto che il nostro grano è insufficiente, avrebbe dovuto essere il tema centrale della trasmissione invece perchè avrebbe condotto a domande interessanti tipo: perchè l’agricoltura italiana è poco protetta, perchè si asfaltano i campi fertili anzichè coltivarli, come si difendono ora i produttori di pasta dopo aver sbandierato per anni l’italianità dei loro prodotti (e questo secondo me spiega come mai Barilla ha preferito non rilasciare dichiarazioni) etc..

Sulla questione dei grani esteri contaminati, se i controlli smentiscono la notizia allora la trasmissione perde totalmente di credibilità.

Non credo sia stata una svista dei giornalisti, perchè c’è un limite anche all’incompetenza: secondo me da “buona” tradizione RAI sono stati messi molti paletti attorno all’argomento perchè andava a toccare equilibri consolidati e così la puntata è uscita azzoppata.
Del resto il governo non è nuovo a farsi manipolare da grandi aziende nazionali: si pensi ad esempio ai ricatti della FIAT a suon di scioperi o di spostamenti all’estero della produzione.

Osvaldo F.
Osvaldo F.
17 Luglio 2017 10:00

Coldiretti è bravissima a scrivere “pro domo sua” sul consumo a km zero, salvo esportare senza batter ciglio tonnellate su tonnellate di parmigiano, grana, vino, agrumi, frutta ed ogni qualunque altra cosa riesca (giustamente) ad esportare, possibilmente come ovvio a caro prezzo!
A Linea Verde “scappo’ detto” che per lo speck dell’Alto Adige (vado a memoria, potrei sbagliare salume) vengono importate e lavorate le migliori cosce di suino: certo, le migliori, ma perfino dall’Argentina… perché quello che conta è la sapiente lavorazione italiana… vabbè, in effetti a me se è buono, di dove sia la materia prima mi interessa poco
Grazie dello spazio

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
17 Luglio 2017 12:16

Questo triste copione è ormai stantio.

L’allarmismo sul cibo è ormai miniera preziosa per star TV in cerca di facili ascolti. I dati sulle micotossine ce ne sono ormai migliaia raccolti con metodo scientifico validato dal CREA , ISS, UNIVERSITA’ e dicono L’OPPOSTO di queste disgustose sparate mediatiche.

All’estero è più difficile poi cogliere le sfumature di un polemismo cronico tutto locale e le reiterate bufale allarmistiche rischiano di danneggiare seriamente la filiera granoduro-pasta, il più importante prodotto e passaporto del Made in Italy e della dieta mediterranea nel mondo e che il mondo apprezza sempre più per le pluridimostrate qualità nutrizionali e salutistiche. Ma che le mai sopite polemiche eufemisticamente fantasiose stanno pian piano assurdamente ridimensionando.

“UE” non è la Comunità Europea delle perfide banche invise al populismo sovranista, bensì l’imprescindibile obbligo di legge da rispettare per la diffusione delle merci, i cui rigorosi limiti per i contaminanti sono stati frutto di anni di attenta valutazione scientifica da tanti laboratori certificati anche in Italia e che permettono alle dogane italiane di avere efficienti strumenti per bloccare eventuali importazioni fuori norma.
E anche se in Natura e nei fenomeni biologici l’assoluto e il 100% di certezza non si sposa con la mutevole e complessa realtà (come, spero, un qualsiasi laureato del settore abbia appreso all’Università), rimane il fatto che molte conclusioni sono il frutto di risultati di prove decennali statisticamente validate e replicate, pubblicati su decine di riviste scientifiche e tecniche. “Fatti” appunto, dati scientifici faticosamente acquisiti, qualcosa di completamente diverso da slogan orecchiabili di post-verità attesa e di comodo, viralmente e incontrollatamente diffusi dal web.

• La qualità del grano italiano sia tecnologica che igienico-sanitaria c’è, ma non è un dato assoluto, come tanti fenomeni biologici, appunto. Non funziona così per un’attività che si svolge senza tetto e può risentire di annate climatiche sfavorevoli. Se piove ed è molto umido intorno alla spigatura, i funghi Fusarium possono attaccare la coltura e il loro metabolismo secondario determina lo sviluppo della principale e più frequente micotossina del grano, il Deossinivalenolo (DON) . In genere si trova a valori bassissimi soprattutto al Sud, ma non è una certezza assoluta e comunque nelle Marche e in Emilia spesso i valori superano quelli delle importazioni Canadesi, comunque ampiamente sotto i limiti. Ci sono decine di migliaia di campioni analizzati negli anni che permettono di dire questo.

• Quindi affermare che la presenza di DON è prova di “truffaldine” importazioni dal Canada oltre che falsità scientifica è presuntuosa e sprovveduta mistificazione diffamatoria. Il Canada è di gran lunga il primo produttore di grano duro nel mondo e i suoi prodotti sono generalmente ottimi, comunque sottoposti a severa legislazione canadese e soprattutto UE applicata come normativa nei controlli doganali italiani

• Da sempre la tradizione italiana è quella del prodotto Pasta, apprezzata e ampiamente venduta nel mondo, ma specie in passato (e l’unica e antica IGP Gragnano (sin da metà 1600) come il “veliero” di Agnesi ne sono chiara testimonianza) si ricorreva massicciamente alle importazioni, soprattutto della pregiata varietà Taganrog dalla Russia (il Kazakstan è ancora oggi forte produttore di grano duro ma esporta soprattutto nella vicina Russia).

• Oggi spesso le importazioni sono inevitabili per carenze quantitative della materia prima (produciamo dai 3 ai 5 milioni di tonnellate, a seconda dell’andamento climatico e delle superfici investite mentre produciamo per fortuna oltre 6 milioni di pasta secca. Con politiche serie di incentivo si può però aumentare l’ettaraggio dei seminativi e avvicinarsi a quelle cifre. Interrompendo concretamente l’abbandono di terre fertili e l’irreversibile consumo di suolo, prima e gravissima piaga ambientale italiana. Ma a volte anche la qualità difetta soprattutto per eccesso di frammentazione dell’offerta e si ricorre DA SEMPRE alle cd. importazioni “tecniche”. Spesso i molitori dicono che sono costretti a importare a prezzi anche più alti grano estero per stabilizzare la qualità delle miscele. Insomma si può certamente ridurre la quantità di grano importato, ma una quota non eccessiva non danneggia nessuno e anzi ci permette di negoziare con Stati che non vogliono essere solo acquirenti.

• Il prezzo basso poi, non è mai stata colpa delle importazioni, come viene detto continuamente convinti di dire un’ovvietà ma invece, purtroppo, deciso in pratica dalle borse merci mondiali delle “commodities” (il più importante è il Chicago Board) su cui gli Stati possono fare ben poco anche se l’intera produzione nazionale fosse assorbita dall’industria italiana. E’ il liberismo delle merci su cui è arduo intervenire, se non con accordi commerciali e negoziazioni di politica economica. D’altronde il ritorno all’economia curtense di dazi porterebbe un ridimensionamento delle opportunità dell’agroalimentare Italiano e in generale ad una grave riduzione del benessere italiano che si basa proprio sull’esportazione.

• Ma la pasta 100% grano italiano può essere comunque realizzata e già oltre 40 marchi sono reperibili a prezzi ridicolmente maggiorati di pochi centesimi (comprarli invece di polemizzare) Bisogna organizzare però la produzione con grossi lotti qualitativamente omogenei con stoccaggio differenziato. Si può fare, si fa purtroppo ancora poco, ma serve cooperazione (brutta parola?) come si fa in tutto il mondo, e in Canada in particolare, superando individualismi e localismi usufruendo e incrementando i contratti di filiera che prevedono valorizzazione e soprattutto remunerazione maggiore e certa della qualità.

• le micotossine nel passato non c’erano non perché non esistessero ma proprio perché non conosciute dal punto di vista scientifico. Di micotossine sono morte milioni di persone nel Medio-Evo con sintomi intermedi che inducevano ad accusare di stregoneria e relative condanne al rogo e pur attenuandosi si è continuato a morire fino agli anni ’50 in Europa e in Occidente, oggi non più per fortuna e si cavilla su poche parti per miliardo di nessun effetto tossico.

• Resta il fatto che demonizzare la pasta, finisce per screditarla anche all’estero dove è più difficile cogliere le sfumature di un polemismo cronico tutto locale. E con la diminuzione delle esportazioni (che costituiscono oltre il 50% della produzione nazionale di Pasta) finiscono per ridursi anche preziosi posti di lavoro in Regioni non ricchissime come il Sud ma diminuiscono anche gli sbocchi del grano duro nazionale, visto che malgrado risulti insufficiente la produzione di granella per la trasformazione richiesta dai pastifici, in effetti produciamo comunque sempre di più di quanto saremmo capaci di “mangiare” se ci limitassimo ai soli consumi nazionali.

vincenzo
vincenzo
Reply to  fabrizio_caiofabricius
18 Luglio 2017 19:24

Non sono d’accordo sulla questione delle importazioni, quella delle borse merci mondiali è il pretesto utilizzato dalla lobby dei grossisti e dall’industria.

Nella pratica succede che le navi cariche di grano estero arrivano nei porti nel momento in cui le mietitrebbie italiane accendono i motori. In questa situazione, con un mercato letteralmente inondato di grano, i produttori dovrebbero fare a braccio di ferro e cercare di non vendere.
Purtroppo però l’agricoltore medio non se la passa bene, ha bisogno di liquidità e quindi accetta un prezzo basso consapevole che tra qualche mese riceverà dallo stato un contributo che compenserà i mancati profitti.

Anche il discorso sulla qualità poi andrebbe seriamente rivisto. Noi importiamo dal Canada grano di qualità bassa (tipi 3 e 4), quello canadese di alta qualità (tipi 1 e 2) ha un prezzo ben maggiore del 20-30% in più di quello italiano.
I pastifici si lamentano della qualità del grano italiano, dicono che a loro serve un maggiore contenuto proteico. Pare che il raccolto di quest’anno abbia i parametri desiderati, eppure il prezzo è rimasto ugualmente basso.

andrea
andrea
Reply to  fabrizio_caiofabricius
20 Luglio 2017 08:36

Buon giorno
mi complimento con la sua risposta completa e puntuale, ma il problema è chi legge preferisce inventarsi una congiura mondiale, creando problemi a chi ogni giorno e in modo serio e bilanciando pro e contro delle proprie affermazioni “lavora” con umiltà e competenza per il SISTEMA paese.

Massimo
Massimo
19 Luglio 2017 13:02

Purtroppo è la normalità, d’altronde bisogna prendere atto che Coldiretti è di fatto il PD, quindi fà parte a pieno titolo dell’ establishment che comanda la RAI.
E anche ove Coldiretti non comanda viene inspiegabilmente ritenuta fonte attendibile, per la pigrizia e la pochezza del giornalismo italiano.

andrea
andrea
Reply to  Massimo
20 Luglio 2017 08:51

Buon giorno Vincenzo
si è accorto che in quello che ha scritto ci sono delle contraddizioni?

1) Le “navi arrivano quando le mietitrebbie scaldano i motori” Guardi che il grano arriva tutto l’anno e non è quello che tiene il prezzo basso visto che costa di più!
2) Gli agricoltori vendono in parte a raccolto, ma esiste il conto deposito che permette di venderlo in qualsiasi momento dell’anno, pagando le spese di stoccaggio e quindi nel momento più favorevole come prezzo. (ovviamente se lo conservassero gli agricoltori non avrebbero costi)
3) Se si importa il Canadese di 3 e 4 conferma che la qualità Italiana è peggiore della 3/4 canadese, che costa di più del 20/30% e quindi che convenienza economica c’è a importarlo?
4) Se il prodotto quest’anno è “migliore” ma sempre inferiore alla 3/4 canadese perchè il mercato dovrebbe pagare di più il prodotto?

Vede a sollevare polveroni e a demonizzare una categoria si rischia di “lavare i panni sporchi” in pubblico e a creare inutili polemiche, dimostrando anche l’ignoranza di certe affermazioni. Un plauso a chi cerca di stemperare gli animi e a ricondurre le politiche di settore ad ambiti più preparati e con una visione di “bene comune”

andrea
andrea
Reply to  Massimo
20 Luglio 2017 08:57

Buon giorno
purtroppo invece sono solo “manovre” affaristiche e speculative e di bottega, si gioca sul fatto che le aziende hanno a cuore il proprio lavoro e quindi cercano di stemperare gli animi.
Le polemiche sono solo “politiche ricattatorie” che approfittano dell’ignoranza, e l’evidenza della mancanza di un onesto contradditorio è il segnale più evidente.

vincenzo
vincenzo
Reply to  Massimo
20 Luglio 2017 11:42

Andrea, nessuna contraddizione, la invito a (ri)leggere meglio il post:

– la quantità di grano che è arrivata a Giugno è enorme e il mercato è stato saturato proprio nel momento in cui gli agricoltori italiani dovevano vendere

– il conto vendita se lo può permettere chi non ha bisogno di liquidità immediata. Ovviamente la maggior parte degli agricoltori non appartiene a questa categoria

– è chiaro ormai che per fare la pasta serve una miscela di grano con determinate caratteristiche, una di queste è appunto il contenuto proteico (glutine), ma non è l’unica. Lo scorso anno la maggior parte della produzione italiana aveva una bassa percentuale di proteine, quindi era necessario miscelarla con altro grano. Di quello canadese è stato scelto prevalentemente quello di tipo 4, perchè pur essendo di pessima qualità, alzava questo parametro senza far scendere tutti gli altri se miscelato con il grano italiano. Ciò non vuol dire che il grano canadese tipo 4 sia migliore di quello italiano “comune”, anzi, probabilmente sarebbe impossibile produrre della pasta usando solo quel tipo. Se i pastifici avessero puntato sulla qualità, avrebbero importato il canadese tipo 1, che costa il 200% il più.

– il prodotto quest’anno sembra migliore (almeno dalle prime analisi), il fatto che il prezzo sia rimasto basso conferma proprio la tesi che esponevo: il prezzo non è determinato dalla qualità del prodotto ma dalle logiche speculative messe in campo per strozzare i produttori.

Io non cerco di vendere la verità assoluta, ma di spronare qualcuno a chiedersi se sia giusto che in una filiera così importante e remunerativa, ci sia allo stesso tempo chi ci perde e chi ci guadagna. Non ci vuole certo un economista per capire che il mercato è malato.

Lo scorso anno è stato calcolato che i prezzi sono stati i più bassi degli ultimi 30-40 anni. Se domani le dicessero che il suo stipendio torna a livelli di 30 anni fa mentre l’azienda aumenta i suoi guadagni, sarebbe ben d’accordo?

Massimo
Massimo
Reply to  Massimo
21 Luglio 2017 09:36

Forse voleva replicare a qualcun altro ??

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
19 Luglio 2017 14:58

Mi scuso se replico precedente intervento

Dicevamo…MAGARI BASTASSE FERMARE UNA NAVE…
Ecco le dinamiche mondiali dei prezzi legate alle produzioni. Forse noioso, sicuramente istruttivo:
“…Le più recenti informazioni sull’evoluzione dell’offerta mondiale di frumento duro indicano una flessione del 2,3% della produzione che scenderebbe a 39 milioni di tonnellate nel 2017. Parallelamente, i consumi sono stimati in lieve aumento dello 0,5% (38,9 milioni di tonnellate), posizionandosi su livelli di poco inferiori all’offerta e determinando una stabilità delle scorte a 10,8 milioni di tonnellate.
Le stime dell’International Grains Council indicano un consistente calo produttivo per il Canada che, dopo i livelli record dello scorso anno, dovrebbe scendere a 5,8 milioni di tonnellate (-26%). In flessione anche la Ue, con l’Italia a 4,2 milioni di tonnellate (-16%), in attesa dei dati di fonte nazionale. La produzione francese è invece prevista in controtendenza ( 12,5% a 1,8 milioni di tonnellate). I cali dovrebbero essere in parte compensati dagli abbondanti raccolti attesi nei paesi del Maghreb, con incrementi del 122% in Marocco (che con 2,0 mln di tonnellate dovrebbe superare la Francia nel ranking dei principali produttori), del 50% in Tunisia e del 23% in Algeria. Da rilevare, infine, come nel primo trimestre dell’anno le importazioni italiane di frumento duro abbiano mostrato una flessione tendenziale superiore al 2%, scendendo a 598 mila tonnellate.
Per effetto della dinamica produttiva, la prossima campagna di commercializzazione 2017/18 del frumento duro potrà essere caratterizzata da una rivalutazione dei prezzi all’origine nel breve periodo. Se il valore medio del periodo luglio 2016-giugno 2017 è stato pari a 193,87 euro/t, cioè il 27% più basso della campagna 2015/16, già nel mese di giugno dell’anno in corso è cominciata l’inversione di tendenza. Nell’ultima settimana di giugno i prezzi all’origine hanno superato la soglia dei 210 euro/t (212,25 euro/t), cosa che non accadeva dalla seconda settimana di giugno 2016…”

Stoccaggio differenziato per grosse produzioni omogenee, standardizzazione dell’offerta, cooperazione e programmazione nel territorio. Siamo sempre lì, erano obiettivi “ineludibili” dai lontani tempi dell’università, ma mi sembra che riecheggiano vanamente ancora.

Il prodotto di qualità ce l’abbiamo, la tecnologia e la credibilità pure, si può puntare a una migliore ridistribuzione delle risorse, se queste non vengono però dilapidate con politiche allarmistiche fasulle che finiscono per diminuire la propensione all’acquisto, soprattutto all’estero . Perché siamo deficitari di materia prima SOLO SE ESPORTIAMO , altrimenti con i soli consumi interni diventiamo pericolosamente (per i prezzi e l’agricoltura meridionale) ECCEDENTARI.

La nave di Nosferatu non è alla fonda al porto di Bari.

vincenzo
vincenzo
Reply to  fabrizio_caiofabricius
20 Luglio 2017 11:59

Continuo a non essere d’accordo. Come ho cercato di spiegate il problema non è l’importazione, ma la speculazione messa in atto da quella parte di filiera che ha il coltello della parte del manico.

Inoltre, a mio parere, il prodotto di qualità lo stiamo perdendo. La qualità è indissolubilmente legata alla ricerca e la nostra evoluzione tecnologica è rimasta al palo. Basti pensare che altri paesi con una storia molto più breve della nostra ci stanno superando, vedi la Francia.

La retorica sulla cooperazione e sulla programmazione la sentiamo da anni, ma rimane sempre e solo retorica. Nella pratica c’è un’associazione, anche spalleggiata dal governo, che NON fa gli interessi degli agricoltori ed a questo sto cercando di dare delle spiegazioni.

Francesco
Francesco
20 Luglio 2017 10:48

Buongiorno a tutti
Da consumatore non troppo addentro ai problemi evidenziati nel post e sottolineati molto bene anche nei commenti di specialisti del settore, vi chiedo se la problematica delle Microtossine è da prendere in seria considerazione o è un fattore che viene sbandierato “ad hoc” cioè quando fa comodo (visto che i valori sono parti su milione e quelle del grano non sono cancerogene -contrariamente a quelle riscontrate nel mais-) ?
Grazie mille a chiunque mi presterà la sua attenzione.

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
Reply to  Francesco
20 Luglio 2017 12:12

Gentile Sig. Francesco,
ho un discreta conoscenza del problema e allora provo a risponderle , sperando di non venir considerato un po’ troppo invadente.

Le micotossine (da mico= fungo) sono prodotti del metabolismo secondario di alcuni funghi appartenenti ai generi Aspergillus, Penicillium e, soprattutto, Fusarium.

Sono stati classificati circa 1100 ceppi fungini capaci di produrre oltre 2000 micotossine molto diverse tra loro (CAST, 2003). La contaminazione da micotossine nella granella oltre certi limiti provoca effetti tossici particolarmente insidiosi (cancerogeni, mutageni e immunodepressivi) negli uomini e negli animali. Le micotossine causano intossicazioni alimentari (micotossicosi) che comprendono diverse affezioni, acute e croniche, che colpiscono gli animali (assunzione di mangimi contaminati) e l’uomo (consumo di alimenti contaminati).

Nei prodotti alimentari finiti le micotossine si trovano con facilità, ma non bisogna associare direttamente la loro presenza con il livello di allarme tossicologico. Oggi la disponibilità di tecniche analitiche sempre più accurate e sensibili ha portato ad un abbassamento della soglia di rilevazione aumentando la frequenza di riscontri “positivi” ma non sempre associati a un rischio tossicologico concreto.  

Numerosi sono stati i casi di micotossicosi acute verificatesi in diverse epoche storiche in varie parti del mondo e riconducibili al consumo di alimenti fortemente contaminati.
Effetti gravemente patologici e socialmente rilevanti su intere popolazioni si sono avuti soprattutto dopo periodi estivi caratterizzati da elevata ed anomala piovosità che interferiva soprattutto sui regolari fenomeni di maturazione ed asciugamento delle granelle e loro stoccaggio

A PROPOSITO DEI BEI TEMPI ANDATI, l’ergotismo viene descritto già nel Vecchio Testamento. Lo studio scientifico delle intossicazioni da micotossine è iniziato nel 1850 quando è stata dimostrata l’associazione fra ingestione di segale contaminata da sclerozi di Claviceps purpurea (Segale cornuta) e insorgenza di ergotismo

Ergot è il nome comune dato all’ascomiceta denominato Claviceps purpurea, parassita delle graminacee che forma degli sclerozi simili a cornetti che conferiscono alla pianta infetta – spesso la Segale – il nome comune di “segale cornuta” I cornetti che spuntano dalle spighe infestate sono costituiti dai corpi fruttiferi (sclerozi) del fungo che contengono alcaloidi velenosi del gruppo delle ergotine (tra cui LSD). Questi alcaloidi, essendo dei vaso-costrittori, compromettono la circolazione; inoltre interagiscono con il sistema nervoso centrale, agendo in particolare sui recettori della serotonina.
L’Ergotismo era conosciuto nel medioevo con il nome di fuoco di Sant’Antonio, fuoco sacro o male degli ardenti. L’ergotismo era spesso fatale, ed aveva sempre effetti devastanti sulle comunità che ne erano colpite. Poteva presentarsi in due forme: “E. convulsivus” con sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica, o “E. gangraenosus” con cancrena alle estremità fino alla mummificazione. Tra gli effetti di questa intossicazione vi erano anche le allucinazioni. Questo portava la gente a mettere in relazione la malattia con il demonio o con forze maligne e conseguenti fenomeni di “caccia alle streghe”.

Il nome “Fuoco di Sant’Antonio” deriva dal fatto che nel Nord Europa il pane veniva fatto anche con la segale, spesso contaminata dal fungo che resisteva anche alla cottura. I malati, recandosi in pellegrinaggio verso i santuari di Sant’Antonio in Italia, scendendo verso Sud cambiavano alimentazione mangiando pane di grano, e ciò attenuava i sintomi dell’intossicazione. Tale effetto veniva attribuito ad un miracolo ad opera di sant’Antonio.

Casi di ergotismo sono documentati a Milano nel 1795 a Torino nel 1798; l’ultimo caso documentato in Europa risale al 1951 nella città francese di Pont-Saint-Espirit, dove più di duecento persone furono affette da allucinazioni e altri disturbi per aver mangiato pane contaminato, e cinque di esse morirono.
Le prime notizie sulla malattia si hanno in Francia (nazione preferita dalla malattia) intorno al 590. Da allora le intossicazioni a carattere epidemico si susseguirono numerosissime in Francia, in Germania, in Russia, in Inghilterra, ed in altri paesi del Nord Europa fino a tutto l’800.

L’incidenza delle epidemie aumentò nei tempi di carestia e di piogge copiose a seguito di inverni particolarmente rigidi. In tali condizioni la segala diventava particolarmente infetta di ergot. L’undicesimo secolo fu funestato da ben quattro terribili epidemie, rispettivamente nel 1042, 1066, 1089 e 1094.
La più terribile fu quella del 1089, quando, come riferisce il Sigiberto di Genbloux: 
«A molti le carni cadevano a brani, come li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere; le membra, a poco a poco rose dal male, diventavano nere come carbone. Morivano rapidamente tra atroci sofferenze oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte; molti altri si contorcevano in convulsioni».

Oggi i raccolti sono ben controllati e i limiti delle contaminazioni, comunque non azzerabili, sono però studiati a lungo da staff di ricercatori internazionali. Si tratta ovviamente di stabilirne LIMITI PRUDENZIALI, altamente prudenziali, tramite lunghi studi seri e validati con metodo scientifico internazionale dai più preparati conoscitori della materia. Ebbene il DON, la micotossina da Fusarium più frequente nei cereali vernini (ma ce ne sono decine di altre) ESISTE DA SEMPRE (e in quantità mostruosamente superiori , veramente causa di epidemie con migliaia di morti e caccia alle streghe nel “bel tempo antico”). Seppur non fortemente cancerogeno come le aflatossine del mais, è comunque da tenere sotto controllo anche oggi per i suoi gravi e pericolosi effetti immunosoppressivi.

Nei bei tempi andati non c’erano conoscenza, consapevolezza e, soprattutto, metodi d’indagine incisivi per rilevarne la presenza già a pochissimi, irrisorie PPB = Parti per Bilione = miliardo.
DON<100 PPB ma anche 200 (il limite altamente prudenziale è 1750 per il grano e 750 per la pasta) è sicuramente un campione “positivo” ma non per questo c’è “contaminazione” (la finissima rilevazione con HPLC o ELISA avviene già a 18 PPB) ma è di assoluta tranquillità COME QUANDO SI HA UN'ARIA CON PM10 < 5 (i blocchi del traffico si fanno con continui superamenti di 50, e a Pechino si arriva a 1000) Ma è impossibile arrivare a 0! Semplicissimo, funghi e particelle micropolverose ci sono e ci saranno sempre.

Le micotossine (DON) certo sono un veleno…peccato che le producano dei naturalissimi funghi (FUSARIUM) e si trovino anche nei più seri e attenti prodotti biologici. Ma è la quantità che crea problemi e questa dipende SOPRATTUTTO dall’andamento climatico stagionale, in particolare dall’umidità e dalla temperatura durante la spigatura-fioritura del grano ( e le Marche e l’Emilia purtroppo non sono troppo differenti dal Canada in quella fase fenologica, ma senza nessuna fregatura, il fenomeno è ben conosciuto e sotto controllo) .

Per fortuna e almeno fino ad oggi il grano duro si coltiva soprattutto negli ambienti semi-aridi del sud italia quando la tarda primavera è generalmente siccitosa e QUINDI LA PASTA ne ha in genere quantità infinitesimali ma quasi mai ZERO perchè è impossibile sterilizzare e uccidere tutti i microrganismi ( si troverebbero ben altri contaminanti)!

SOPRATTUTTO perchè sono aumentate le capacità di indagine diagnostica che permettono di rilevarne la positività già a PPB (parti per miliardo). Ma avere <200 ppb di DON è come dire di avere la febbre con 36.51 solo perchè quel termometro è così sensibile che legge (gli inutili) centesimi di grado.

E una cosa è certa: la presenza di DON non evidenzia nessuna provenienza "Estera=truffaldina" del grano perché valori simili e ANCHE PIU' ALTI possono essere trovati in partite nazionali.

Quindi direi di cambiar strategia ….finalmente!

Francesco
Francesco
20 Luglio 2017 13:40

Che dire….finalmente un commento chiaro e completo sull’argomento! !! Grazie
È comunque difficile trovare notizie del genere in rete, normalmente sono proclami allarmistici che vengono utilizzati quando più fa comodo per demonizzare cereali nazionali o d’importazione.
Grazie ancora!

ezio
ezio
20 Luglio 2017 20:27

Nel merito, nella tecnologia e nelle informazioni agronomiche sono completamente d’accordo con Fabrizio.
Nella strategia politica delle associazioni ritengo che Vincenzo abbia delle buoni ragioni e che la spiegazione di come mungere la vacca degli aiuti statali al settore rappresenti la realtà anche in questo settore come in altri.
Comunque commercianti, mugnai e pastai industriali sono gli unici che guadagnano veramente.

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
Reply to  ezio
21 Luglio 2017 11:28

Proprio per questo cooperazione e associazionismo potrebbero creare maggior forza contrattuale degli agricoltori. Succede nel calunniato Canada dove associazioni di agricoltori possono intervenire concretamente sulle contrattazioni (ovviamente fino ad un certo limite poichè purtroppo i prezzi seguono dinamiche internazionali poco modificabili). Ma se in pochi ettari si offrono con 3 tonnellate di varietà “X” a proteina 16 e p/hl* 80, altre 5 tonn di “Y” a proteina 12 e p/hl 76 e 10 tonn di “Z” a proteina 9 e p/hl 85, mi sembra scontato il purtroppo amaro ed umiliante deprezzamento di un anno di duro lavoro.
Ma se “X”, “Y” e “Z”, pur con le loro diverse caratteristiche (e relativi possibili impieghi) vengono offerti in grandi quantità omogenee sicuramente acquisterebbero un maggior appeal e relativo miglior apprezzamento. La strategia dello stoccaggio differenziato e della partecipazione diretta dei produttori alla filiera mi sembra faticosa ma promettente.
Una migliore cultura alimentare con maggior impiego di risorse familiari sottratte allo strabordante superfluo e vanesio è l’altra chiave virtuosa che dovrebbe essere obiettivo di politiche informative rigorose ed incisive.
SUV da 3000cc , smartphone da 1000€, aria condizionata a 21° e termosifoni a 19° tacitano qualsiasi impudico lamento italico sul costo del cibo. Solo alzando la soglia d’intervento di aria condizionata e termosifoni a livelli di Homo sapiens e non di Ameba piagnucolantis si potrebbe comprare la scorta della migliore pasta per l’intera vita.
* p/hl: Sono i principali parametri di qualità, quelli più immediati e di facile rilevamento che incidono sulla valutazione rapida di una partita (% di tenore proteico, se superiore al 14.5% e Peso ettolitrico, se superiore ad 80Kg/hl sono considerati ottimi I classe dalla classificazione di UNI con norma 10709-10940. Per la qualità pastificatoria entrano in gioco anche altri parametri come il Gluten Index, il W alveografico, il colore giallo e l’SDS.
Tutto in un ambito di ottimi requisiti igienico-sanitari (limiti non superati di micotossine, metalli pesanti , impurità ecc ecc)

ROBERTO
ROBERTO
25 Luglio 2017 16:43

rispondo ad andrea per dire che i ricattati siamo noi agricoltori…. ma dove vive?
guardiamo la produzione attuale, é unanime dire che oggi il nostro é il migliore grano al mondo, eppure le borse sono al palo tra “non quotato” o rialzi di pochi cents….. quali altre scuse ora??
le dico io da semplice agricoltore che si spacca la schiena e non solo, che é una situazione assurda questa….. con il pretesto di quotare in borsa un cereale
si massacra una intera categoria….. ma quotare cosa???.. il grano é un prodotto che nasce in natura? oppure si estrae dal sottosuolo??… no é un semilavorato, un prodotto ottenuto da varie fasi di lavorazioni e costi molto variabili, che vengono annullati dalle mosse sciagurate delle borse…… non deve essere quotato il grano, così come non dovrebbe esserlo nessun prodotto agricolo in tutto il mondo…… lei ha mai visto quotare in borsa una suola di scarpa?… oppure un display per telefonino o un motore per auto??…. é la stessa cosa il grano é un elemento che serve per ottenere la pasta, il pane, i biscotii ecc ecc… il suo prezzo visto che la parte acquirente é poca e quindi passibile di cartello dovrebbe essere stabita prima di iniziare le semine, senza perö vessare l’agricoltore con contratti di difficile attuazione, visto che poi comunque il grano viene chissà come macinato lo stesso….
Quindi prima di buttare la croce addosso agli agricoltori bisognerebbe starci nella nostra situazione…. fare reddito con prezzi di 30 anni fa…. e si fare reddito perché se mai non fosse chiaro una azienda agraria nom é un ente di beneficenza
saluti

Riccardo
Riccardo
25 Luglio 2017 17:39

Questa storia mi ricorda molto un’altra battaglia (persa): il latte. Stessa manfrina (della Coldiretti), stessa soluzione (Reale), stessa situazione. Dobbiamo metterci in testa che la quota nazionale, non basta a soddisfare la richiesta di mercato mondiale ed è ora che gli operatori del settore primario la smettano di piangersi addosso. La guerra va vinta con la testa e non con le armi, invece si preferisce andare in piazza, protestare per un giorno o due e poi ritornare alla vita quotidiana: un giorno da leoni e 100 da conigli che non hanno voglia di cambiare per paura. O meglio, per loro cambiare è solamente chiudere. Ha perfettamente ragione il sig Fabrizio, quando dice che la soluzione è la cooperazione, lasciando perdere l’egoismo.
Mi faccio spesso una domanda: Perché gli allevatori invece che permettere la vendita di Parmalat a Lactalis non hanno invece creato una cooperativa per rilevarla????? A quest’ora invece che dare battaglia sul prezzo del latte, avremmo sicuramente lodato lo sforzo di tenere in Italia un brand, senza permettere a una multinazionale di fare i suoi interessi.
Chi sbaglia non è la multinazionale di turno che giustamente fa i suoi interessi, ma sono gli stessi agricoltori: così frammentati, per la multinazionale è semplice spuntare un prezzo esiguo.
Come vedete, il discorso non è fuori tema.
L’Italia, infine, ha una conformazione orografica non lontanamente paragonabile a quella del Canada (per esempio), quindi neanche con questa soluzione si riuscirebbe a livellare completamente il divario con queste nazioni per lo più pianeggianti e di gran lunga più estese.
Concludendo la cara Coldiretti la deve finire di fare populismo inutile, oltretutto sapendo queste cose (se non le sapesse, mi preoccuperei molto!!!).
Vorrei sapere poi perché nelle trasmissioni parlano tutti, tranne chi veramente conosce settore (e Coldiretti non lo conosce o fa finta).
Queste non sono mie idee, ma considerazioni di economisti; se non ci diamo una mossa, faremo la fine delle quote latte. Tutti sapevano che sarebbero finite, ma hanno preferito lamentarsi, invece che trovare una soluzione.
Come vedete il discorso è minimo comune denominatore al settore primario in generale: screditare non porta alla soluzione!!!!!!!