olio di palma
Lo studio punta a conciliare le coltivazioni di palma da olio con la protezione delle foreste tropicali

Le cinque grandi aziende asiatiche coltivatrici di palma da olio  firmatarie del Manifesto dell’olio di palma (Sime Darby, KLK, IOI, Musim Mas e Asian Agri), affiancate dal colosso dell’agroalimentare Cargill e dalla multinazionale Unilever, hanno commissionato uno studio su come conciliare le coltivazioni con la protezione delle foreste tropicali. Lo scopo è dare la possibilità alle aziende di soddisfare la crescente domanda, alle popolazioni locali di avere un lavoro nelle piantagioni e ai Paesi che ospitano queste coltivazioni di farne un’occasione di sviluppo. Una bozza dello studio sulla valutazione scientifica dei lavori esistenti affidata a un gruppo guidato dall’ambientalista britannico Jonathon Porritt, è stata pubblicata in giugno, con il titolo High Carbon Stock Study, con l’intento di raccogliere osservazioni da parte dei soggetti interessati. Questa fase si è chiusa il 31 luglio e il lavoro definitivo dovrebbe essere pubblicato entro l’anno. Il punto di partenza evidenziato da Porritt, è che la politica della “deforestazione zero”, è considerata irrealistica, perché significherebbe non abbattere neppure un albero e quindi impedire a questi Paesi di sfruttare un’occasione di sviluppo.

Lo studio propone di suddividere le foreste in tre tipologie, a seconda la loro capacità di assorbire CO2, adottando una sorta di semaforo. Le zone rosse sono quelle in cui dovrebbe essere vietato ogni tipo di intervento; quelle arancione, che sono le più controverse e difficili da identificare, sono quelle in cui, a determinate condizioni e a seconda delle aree geografiche, può essere possibile sostituire parti di foresta con piantagioni di palma da olio; quelle grigie, infine, sono quelle in cui la sviluppo di coltivazioni di palma non pone problemi dal punto di vista dell’aumento di emissioni di gas a effetto serra.

Il sistema a semaforo proposto da questo studio non è l’unica classificazione delle foreste esistente e i governi dovrebbero scegliere fra due alternative
Il sistema a semaforo proposto da questo studio non è l’unica classificazione delle foreste esistente e i governi dovrebbero scegliere fra due alternative

Il punto delicato della classificazione è che, come affermano gli stessi proponenti, la messa a punto del progetto non può essere lasciata alla buona volontà delle aziende, ma deve essere tradotta in regole e pratiche di comportamento nelle concessioni delle terre da parte dei governo . Occorre anche prevedere delle compensazioni economiche alle popolazioni locali, a cui si chiede di non avviare nuove coltivazioni nelle zone interdette.

Un ulteriore problema, come segnala l’agenzia Reuters, è che il sistema a semaforo non è l’unica classificazione delle foreste,  ne esiste infatti una più restrittiva, l’High Carbon Stock Approach, elaborata nel 2011 da alcuni gruppi ambientalisti, tra cui Greenpeace e The Forest Trust, che chiede di vietare lo sviluppo di coltivazioni di palma da olio nelle foreste che catturano più di 35 tonnellate di carbonio per ettaro. I governi si troverebbero, quindi, nella difficile situazione di dover scegliere uno dei due sistemi di classificazione.

 

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