Una nuova guerra sta divampando negli Stati Uniti tra autorità sanitarie, lobby di consumatori, produttori bio e multinazionali dell’agroalimentare e della chimica. Secondo alcuni osservatori, il futuro dell’agricoltura americana – e quindi mondiale – dipende anche da questo dibattito. La battaglia in corso riguarda l’obbligo di indicare con apposite etichette la presenza di ingredienti provenienti da vegetali geneticamente modificati che hanno ormai egemonizzato il mercato USA. La decisione potrebbe modificare l’orientamento della produzione agricola mondiale.

La storia della guerra sulle etichette la racconta il New York Times in un articolo che fa capire quanto la questione, al di là delle prese di posizione ideologiche, sia delicata sotto diversi punti di vista, e non di facile soluzione. Da circa una dozzina d’anni, gli Stati stanno ragionando su proposte di legge specifiche riguardanti le etichette dei prodotti Ogm (finora mai approvate), e una petizione nazionale presentata alla Food and Drug Administration (Fda) ha già raccolto più di un milione di firme.

Come spesso accade, lo Stato di riferimento è la California, all’avanguardia su molte tematiche ambientali e della difesa della salute del consumatore. Entro novembre i cittadini saranno chiamati a esprimersi direttamente con un referendum sul tema. Già si prevede che associazioni di consumatori e produttori biologici da una parte, agricoltori tradizionali e colossi dell’agroalimentare e della chimica dall’altro spenderanno decine di milioni di dollari in una campagna infuocata per promuovere le loro ragioni.

Tutto ciò accade in un contesto dove per anni la presenza di specie geneticamente modificate non ha causato troppe preoccupazioni, soprattutto in confronto a quanto avvenuto in Europa, dove è previsto l’obbligo di un’etichettatura specifica (regolamento CE 1830/2003). Negli Usa la percentuale di mais e soia Ogm rappresenta la stragrande maggioranza del mercato, e buona parte di prodotti che usano queste materie prime dovrebbero dichiararne la presenza. Fino a oggi non è stata richiesta una indicazione specifica: ma la sensibilità dei consumatori dopo le recenti vicende del bisfenolo A e della carne separata meccanicamente  (pink slime), sta cambiando e la gente vuole più trasparenza.

La Food and Drug Administration ha fatto sapere che, in linea di principio, non ritiene necessaria l’indicazione degli Ogm, dal momento che le modificazioni genetiche non cambiano il prodotto finale. In ogni caso, sta valutando le petizioni presentate. I consumatori, a loro volta, sottolineano e a gran voce, il diritto di scelta e, di conseguenza, quello di essere informati attraverso le etichette.

Gli agricoltori, le aziende biotecnologiche e agroalimentari sostengono che la scritta “contiene Ogm” spingerebbe i consumatori a rifiutare in blocco i prodotti “marchiati”, senza sapere nulla né delle reali conseguenze sulla salute né del vantaggio che l’introduzione dei vegetali geneticamente modificati ha già portato all’agricoltura americana, e cioè la diminuzione drastica dell’impiego di fitofarmaci. Di fatto, sempre secondo loro, sarebbe in atto un tentativo strisciante, cavalcato ad arte dai produttori del biologico, di espellere dal mercato molti concorrenti con la scusa della libertà di scelta.

Cathleen Enright, vice presidente della Biotechnology Industry Organization che riunisce colossi quali Monsanto e DuPont, ha dichiarato: «Stanno cercando di ottenere con la politica ciò che non riescono a raggiungere con il mercato». Di fronte a questo approccio non del tutto privo di fondamento, ma che rivela una certa arroganza, Marion Nestle, una delle nutrizioniste più note d’America, docente alla New York University e animatrice del blog Food Politics, ha replicato al NYT: «I consumatori hanno diritto di sapere tutto ciò che riguarda modifiche genetiche del cibo; se le aziende ritengono che le loro obiezioni siano stupide e irrazionali, spetta a loro spiegare perché non è così».

Alcune associazioni di categoria, come la Grocery Manufacturer Association che riunisce marchi più famosi nel campo alimentare, rifiutano di esprimersi. Ma c’è chi attribuisce alla prossima decisione della California conseguenze molto ampie. Gli esperti pensano a quanto è avvenuto in in Europa negli ultimi anni, dove le colture Ogm hanno conquistato una fetta di mercato molto piccola. In Italia, soia e mais Ogm si trovano solo nel mangime per animali e nessuna azienda usa derivati Ogm.

Ronnie Cummins, direttore dell’Organic Consumers Association, ha infatti scritto in una lettera che accompagna una petizione on line per sostenere le iniziative referendarie: «Se passerà la legge sulle etichette per gli Ogm, la California farà il primo passo verso l’eliminazione totale di questi prodotti. Immaginate un’azienda come la Kellog’s che scrive sui suoi Corn Flakes: ottenuti con mais geneticamente modificato. Sarebbe il bacio della morte, qui e in tutto il mondo».

Infine, l’opinione pubblica, che secondo un sondaggio di Thomson Reuters del 2010 è compatta nel chiedere chiarezza: nove americani su dieci vogliono che le etichette Ogm siano obbligatorie.

La guerra delle etichette è insomma in pieno svolgimento, e dal suo esito dipenderà in parte il futuro orientamento della produzione agricola e di cibo non solo degli Stati Uniti. Sarebbe auspicabile che, prima di prendere una decisione su come votare, ogni californiano (ma molti si augurano referendum simili in tutti gli Stati americani) ragionasse su pro e contro e cercasse di lasciare fuori dal seggio ideologie e interessi che poco hanno a che vedere con la tutela della salute.

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mauro
mauro
30 Maggio 2012 12:25

è in credibile come la Monsanto colosso americanodegli OGM con un passato molto torbido faccia una guerra a suon di dollari per non inserire sull’etichetta la frase "geneticamente modificato" questo la dice lunga sulla paura che la gente si informi sugli alimenti OGM

Diego
Diego
31 Maggio 2012 10:47

Ma se ne ricordano adesso dopo che li mangiano da 20 anni?