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I prodotti derivati da animali alimentati con mangimi gm secondo lo studio sono identici a quelli convenzionali

I mangimi composti prodotti con colture geneticamente modificate sono simili  a quelli  provenienti da coltivazioni convenzionali. È questa la sintesi di una review pubblicata sul Journal of Animal Science da due ricercatrici del dipartimento di genomica animale e biotecnologie dell’Università della California. Le autrici dello studio hanno preso in esame i dati sulla produttività e sulla salute degli animali da allevamento dal 1983, cioè prima dell’introduzione delle colture geneticamente modificate, al 2011. Dallo studio è emerso che «nessun insolito trend è stato rilevato riguardo la salute o la produttività degli animali a partire dal 1996», anno a cui risale la prima semina delle colture geneticamente modificate. Leggendo il documento si evince anche che il latte, la carne, le uova e gli altri prodotti derivati da animali alimentati con questi mangimi  risultano indistinguibili dai derivati da animali alimentati con mangimi convenzionali.

 

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In Italia l’87% dei mangimi  composti utilizzati  è ottenuto con materie prime  importate proveniente da coltivazioni GM

«Questi alimenti non trasmettono parti del genoma modificato a carni, latte e uova – afferma Giuseppe Pulina, ordinario di zootecnica speciale e direttore del dipartimento di scienze zootecniche della facoltà di agraria dell’Università di Sassari . Le performance produttive non risultano alterate e non ci sono rischi particolari per la salute, né degli animali né dei consumatori». Il risultato è che gli animali d’allevamento alimentati con mangimi a base di soia e mais geneticamente modificate metabolizzano le proteine allo stesso modo di suini, bovini, pecore e capre nutriti con alimenti convenzionali. La conclusione suffraga la tesi di molti esperti, anche italiani. «La polemica sulla sicurezza per la salute umana va assopendosi, anche perché sono oltre cinquanta gli organismi geneticamente modificati importati in Italia che costituiscono la base della nostra mangimistica», dichiara Roberto Defez, direttore del laboratorio di biotecnologie microbiche all’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Napoli.

 

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Sono oltre 50 gli OGM importati in Italia  utilizzati nella nostra mangimistica

Secondo quanto certificato dall’International service for the acquisition of agri-biotech applications (Isaa), nel 2014 sono stati 181 milioni gli ettari di terreno nel mondo coltivati con organismi geneticamente modificati. Nei 19 anni compresi tra il 1996 e il 2014, sono stati all’incirca trenta i Paesi che hanno piantato colture biotecnologiche – principalmente mais, soia e cotone, seguiti da barbabietola da zucchero, papaya, zucchine e pomodori – destinate all’alimentazione umana e animale. I mangimi Ogm sono molto utilizzati anche in Italia. È l’Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici (Assalzoo) a riferire che in Italia vengono prodotte ogni anno oltre 14 milioni di tonnellate di mangimi composti da diversi cereali. L’87% è rappresentato da miscele ottenute con materia prima gm importata dall’estero. Seguono i mangimi convenzionali (12,5%%) e quelli biologici (0,5%). Ci sono però ancora diversi produttori che scelgono per gli animali foraggi “ogm free”, come nel caso delle aziende agricole che producono latte per produrre formaggi come la Fontina e il Ravaggiolo. Questo vuol dire che gli animali sono sono alimentati con soia e mais coltivati in Italia in maniera convenzionale: requisito necessario per parlare di filiera Made in Italy e priva di Ogm.

 

Restano da chiarire ancora alcuni punti relativi alla sostenibilità ambientale, in  particolare alla tutela della biodiversità, secondo alcuni a rischio in caso di sistemi intensivi. C’è poi il problema dell’impiego di diserbanti, come il glifosato , dichiarato nelle scorse settimane “probabile cancerogeno” dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. Non è ancora risolta la questione della contaminazione accidentale: tra mais geneticamente modificato, tradizionale e/o biologico. Occorre infine considerare che il sistema delle coltivazioni gm ha fatto di recente registrare le prime crepe negli Stati Uniti. Secondo l’Agenzia per la protezione ambientale alcuni insetti – tra cui la diabrotica – hanno iniziato a manifestare la resistenza al bacillus thuringensis, di cui un gene viene inserito nel mais gm – pari all’80% del totale coltivato in Usa – per evitarne l’attacco da parte degli insetti. Se il fenomeno dovesse propagarsi, l’impiego delle biotecnologie non basterebbe a evitare il ricorso alla chimica dei pesticidi.

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Foto: iStockphoto.com

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Andrea
Andrea
11 Maggio 2015 12:59

Speriamo che di fronte all’evidenza la si finisca di preoccuparsi per gli ogm. L’unico problema potrebbero essere le resistenze a pesticidi dannosi, ma meglio intervenire su quelli che sugli ogm a priori.

Gianni
Gianni
14 Maggio 2015 10:58

Non credo sia una novità, esistono molti studi precedenti che hanno evidenziato questo aspetto. Il problema, semmai, è che i cereali vengono somministrati ai ruminanti, almeno nella maggioranza degli allevamenti intensivi.

garg
garg
18 Maggio 2015 16:44

Confermo, quasi tutti i mangimi utilizzano soia e mais ogm.
E sui cartellini di alcune ditte ho letto che sono addirittura conformi ai disciplinari di famosi formaggi a pasta dura.