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Secondo i ricercatori gli antipasti hanno mantenuto un apporto energetico decisamente eccessivo  pari a 670 chilocalorie

Gli Stati Uniti continuano a evitare una svolta decisa all’alimentazione, almeno stando a quanto emerge dalle pietanze servite nei ristoranti. L’ultima conferma arriva da uno studio pubblicato su Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics. I ricercatori dell’Institute for Population Health Improvement dell’University of California hanno dimostrato come, nonostante le buone promesse, i livelli di sodio e grassi, soprattutto negli antipasti, sono rimasti pressoché identici.

 

L’indagine ha preso in esame 213 catene della grande ristorazione: quasi 26mila i menù per bambini analizzati, un anno (aprile 2010-maggio 2011) il periodo di osservazione. Secondo i ricercatori, tra l’inizio e la fine dell’indagine, gli antipasti hanno mantenuto quasi inalterato l’apporto energetico (si registra una riduzione di sole 40 chilocalorie), decisamente eccessivo: pari a 670 chilocalorie. Stesso discorso per i livelli di sodio, diminuiti di pochissimo: dai 1.515 milligrammi del 2010 ai 1.500 del 2011. Volendo utilizzare una metafora gastronomica, è come se ci si trovasse di fronte a un gambero: a un accorgimento positivo, come quello sulla riduzione del volume delle bibite servite nei bar, ne segue uno negativo. In sostanza, lo status quo non cambia.

 

Tutto da rifare, dunque? Più o meno. Anche se un certo numero di catene di ristoranti e tavole calde aveva annunciato la svolta salutista, nel corso degli ultimi anni è stato fatto poco o nulla. «I ristoranti apportano regolarmente modifiche ai loro menù, ma queste possono essere contemporaneamente salutari e malsane – commenta Helen W. Wu, autrice dello studio – Questa ricerca fornisce la prova oggettiva che non c’è stato un aumento significativo della preparazione di cibi più leggeri. Un dato che deve far riflettere, se si considera che la popolazione statunitense consuma quasi il 33% delle chilocalorie totali fuori casa». Le campagne di comunicazione sono state quindi lasciate sole: sembra infatti che anche negli Stati Uniti il problema dell’obesità sia stato finalmente percepito, ma nei fatti mancano le azioni di salute pubblica atte ad arginarlo.

 

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Pochi ristoranti hanno ridotto in modo significativo le calorie e la quantità di sodio, alcuni hanno perfino aumentato le dosi

Ci troviamo davanti a una quantità corposa di variazioni all’interno dei menù, tuttavia risultano alla fine ben poche quelle funzionali per una corretta alimentazione. Tra i singoli marchi di ristoranti, pochi hanno ridotto in modo significativo i livelli medi di chilocalorie e di sodio delle loro portate principali, mentre molti altri hanno perfino rincarato le dosi. Anche la pressione da parte delle autorità sanitarie non sembra aver “spaventato” i ristoratori. In pochi hanno aderito al progetto del Dipartimento di Salute Pubblica che prevede l’affissione di una decalcomania sulle vetrine per evidenziare l’offerta di porzioni ridotte e più salutari: con meno cibi fritti e più frutta e verdura. Resta tuttavia poco chiaro perché la Food and Drug Administration non abbia ancora richiesto l’etichettatura delle pietanze da parte delle principali catene.

 

«I consumatori devono sapere che, quando mangiano in un ristorante, rischiano di andare via con un eccesso di energia e sodio – chiosa Wu -. Tra la salute e le scelte imposte dai fast food c’è un divario abissale che rende il confronto impari. L’introduzione di una legge nazionale sull’etichettatura dei menù potrebbe costituire una strategia importante per stimolare i ristoratori ad apportare modifiche più profonde ai valori nutrizionali delle pietanze».

 

Fabio Di Todaro (@fabioditodaro)

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