Mangiare al ristorante è un piacere ma spesso anche una necessità collegata a esigenze di lavoro. Per rendersene conto basta dire che i pasti fuori dalle mura domestiche hanno pareggiato, in Europa, quelli casalinghi. Ci chiediamo: quanto è sicura la nostra pausa pranzo? Mangiando fuori quasi tutti i giorni quanti rischi corriamo di contrarre un’infezione alimentare? L’attenzione verso l’igiene può sembrare esagerata, ma i casi di contaminazione del cibo sono frequenti. Purtroppo le segnalazioni che giungono all’autorità sanitaria sono solo una minima parte rispetto alla realtà.

Ci sono però precauzioni che gli avventori possono adottare per ridurre al minimo questi spiacevoli incidenti. Basta osservare attentamente certi particolari ed evitare le situazioni critiche.

Imbattersi in situazioni difficili non è strano basta dire che ci sono microbi come lo Staphylococcus aureus che crescono allegramente sul prosciutto, sull’arrosto o sui bignè di crema contaminati durante la lavorazione che restano fuori dal frigorifero (o sul bancone del ristorante o del bar) per 4-6 ore a una temperatura di 37-40°C. Il cliente di solito se ne accorge dopo poche ore, quando comincia a avvertire nausea, mal di testa e dolori addominali.

Tra i microrganismi più pericolosi troviamo anche la Listeria monocytogenes, che cresce a temperature molto basse + 1°C/+5°C e si può trovare soprattutto nei formaggi preparati con latte crudo non pastorizzato, nelle salsicce crude e negli ortaggi. Ma la Listeria è ubiquitaria e può svilupparsi su tutti gli alimenti, compresi quelli cotti, sottoposti a cattiva lavorazione oppure custoditi in un  frigorifero contaminato.

La Salmonella è il microrganismo più noto. Si riproduce a una temperatura compresa tra +6 e +45° C, ha un periodo di incubazione breve (da 12 a 24 ore) e si manifesta sotto forma di gastroenterite associata a febbre. Può avere un decorso grave su soggetti particolarmente debilitati, sui bambini e sulle persone anziane. 

Quando dopo la cena si accusa un violento mal di pancia e la cosa riguarda più commensali, conviene fare una segnalazione al Dipartimento di Prevenzione dell’ASL, che dovrebbe recarsi al ristorante per verificare le condizioni igieniche della cucina e le modalità di conservazione del cibo. Per i pazienti che si rivolgono al Pronto Soccorso, la segnalazione all’ASL è invece automatica. Il più delle volte, però, la gente non segnala il problema, e per questo motivo i dati relativi alle tossinfezioni alimentari sono sempre sottostimati.

A vigilare sulla nostra incolumità c’è il cosiddetto HACCP (Hazard Analysis on Critical Control Points), spesso richiamato sui certificati affissi nei locali pubblici. Si tratta di un sistema di autocontrollo che prevede l’applicazione delle buone prassi igieniche, come la banale pulizia di locali e attrezzature, e l’analisi dei rischi che potrebbero verificarsi nel corso delle preparazioni. È il modo con cui i locali esercitano la responsabilità che spetta loro di garantire la sicurezza dei prodotti da essi trattati. Vale la pena ricordare che da questo dipende anche la loro reputazione che è, in fin dei conti, il prodotto più prezioso di cui gli esercizi dispongono. Tutti gli operatori della catena alimentare si impegnano a garantire la qualità e la sicurezza del cibo che producono e vendono.

A cosa deve fare attenzione, dunque, il cliente che si accomoda al ristorante? Uno dei punti critici è senz’altro quello degli alimenti crudi e dei piatti freddi esposti nei banchi per gli antipasti all’ingresso del ristorante. Gli antipasti di mare, il carpaccio di carne, i cibi a base di maionese o uova contenenti ripieni, sono molto delicati. La conservazione in banchi refrigerati male, o peggio la permanenza per qualche ora a temperatura ambiente permettono lo sviluppo di una quantità di microrganismi capaci di provocare disturbi intestinali. Per questo conviene verificare che il termometro sia posizionato sotto i +4°C. Lo stesso discorso vale per i dolci a base di crema, che fuori dal frigorifero resistono molto poco. Invece le torte senza crema e la pasticceria secca possono restare a temperatura ambiente, avendo però l’accortezza di utilizzare contenitori trasparenti con l’apertura rivolta verso l’interno per proteggere il cibo da contaminazioni occasionali, per esempio dovute a starnuti e colpi di tosse, ed evitare il contatto con mani poco pulite.

Un discorso analogo va fatto per i cibi caldi, che devono essere serviti a una temperatura di almeno 60° (considerando il ”centro” del cibo, non la sua superficie esetrna). Il prolema riguarda soprattutto le tavole calde, dove le lasagne, gli arrosti o altre pietanze vengono tenute in un banco riscaldato che deve mantenere queste temperature.

E al bar? Il bancone frigorifero dei bar-tavola calda deve essere suddiviso in modo da differenziare i cibi cotti da quelli crudi. Il settore freddo è destinato a yogurt, piatti di gastronomia pronta, prodotti deperibili farciti con creme o preparati a base di uova e va tenuto a +4 °C. Il secondo comparto (temperatura tra +4°C e +6°C) è destinato ai salumi e ai formaggi necessari per i panini imbottiti. Per i cibi cotti da servire freddi (come ad esempio roast beef e arrosti) la norma prevede una temperatura inferiore ai +10 °C (gli esperti consigliano però di tenere il termometro più basso). I piatti a base di verdura e le insalate possono rimanere a +10 °C, avendo però l’accortezza proteggere i contenitori con un film di plastica per evitare la migrazione di batteri da un cibo all’altro. Infine, le lasagne, gli arrosti o altre pietanze vanno tenute in un banco  riscaldato, in modo da raggiungere i ”fatidici” 60°C.

Dario Dongo
Roberto La Pira

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