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Chi lavora in cucina dovrebbe adottare alcune precauzioni: molti bar non dispongono dello spazio adeguato

Purtroppo è molto difficile quantificare il fenomeno. I dati sulle tossinfezioni sono sottostimati, da un lato perché  chi è vittima di un malessere di questo tipo non lo riferisce al proprio medico o ai servizi di prevenzione delle Asl. L’altro elemento da considerare è che anche in caso di segnalazione agli organi competenti non è detto che si riesca a stabilire con sicurezza una relazione causa-effetto. «Questo non significa che il problema non esista» sottolinea Busani. «Se in genere questi episodi si risolvono in fretta e senza grosse conseguenze per i singoli, a livello di popolazione generale l’impatto può essere importante. Se nel corso dell’anno il fenomeno costringe molte persone a stare a casa dal lavoro anche solo per mezza giornata, gli effetti si sentono.

Che fare? Ovviamente, la preparazione, la conservazione e l’esposizione di alimenti in un esercizio pubblico – compresi i bar che offrono aperitivi elaborati – sono regolate per legge. «La normativa di riferimento è costituita dal cosiddetto “pacchetto igiene”, composto da una serie di regolamenti comunitari», spiega Simonetta Fracchia. La normativa definisce per esempio le temperature alle quali vanno conservati i vari tipi di alimenti: 4°C per cibi crudi, antipasti di mare, specialità con maionese e uova ripiene; meno di 10°C per cibi cotti da servire freddi (fette di carne); 10° C per piatti di verdura e insalate; temperatura ambiente per prodotti secchi come pane, grissini, focacce e almeno 60° C per i piatti caldi. Altre norme riguardano l’atteggiamento del personale addetto alla preparazione degli alimenti, che dovrebbe indossare un camice o giacca di colore chiaro e curare la pulizia delle mani. Eppure, nel corso dell’indagine dell’Asl di Milano è emerso che proprio questa è una delle norme più disattese: «Spesso gli operatori non dispongono nemmeno di sapone e di sistema igienico adatto per asciugare le mani» commenta Fracchia.

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In alcuni locali tra gli aperitivi compare anche il pesce crudo

La soluzione? Sicuramente investire di più sulla formazione, molto spesso ancora inadeguata, degli operatori del settore alimentare e in particolare di chi prepara direttamente cibi e bevande. Perché “rischi” e “buone pratiche” non rimangano solo parole alle quali non corrispondono azioni concrete. E nel frattempo, c’è qualcosa che il consumatore può fare per capire se può concedersi tranquillamente un piatto di stuzzichini da buffet o se è meglio lasciar perdere? «Nella grande maggioranza dei casi è impossibile capire alla vista o all’assaggio se un prodotto è contaminato», chiarisce Busani. «Però alcuni indizi – salse secche, colori o sapori alterati – dovrebbero far supporre che ci sia stata una pessima conservazione e dunque allarmare». Viceversa la sensazione di freschezza è in genere un buon segnale. Da non trascurare anche il livello generale di igiene del locale, in particolare dei servizi igienici: se tutto è pulito e in ordine è probabile che lo stesso accada anche in cucina.

Un ultimo suggerimento viene da Simonetta Fracchia: «Preferire alimenti semplici, poco manipolati, in genere i più corretti anche dal punto di vista nutrizionale». Già, perché oltre ai rischi microbiologici, gli happy hour possono costituire un problema anche per la qualità della nostra dieta. Alcol, cibi grassi o fritti, troppo calorici e salati di certo non fanno bene alla salute: va bene concederseli una tantum, per sfizio, ma meglio non eccedere.

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Luisa
29 Maggio 2014 13:28

..e non abbiamo parlato del fatto che spesso i prodotti sono posizionati in sala o anche all’aperto, senza alcuna protezione ( mentre ad esempio per i self service si richiedono i vetri protettivi) e che i commensali prendono liberamente gli alimenti..