fiocchi d'avena
Negli USA i fiocchi d’avena rappresentano uno dei cibi più salutari in assoluto

Forse non tutti sanno che nell’immaginario popolare americano, da una trentina d’anni, i fiocchi d’avena rappresentano uno dei cibi più salutari in assoluto. Fino a quando, nelle ultime settimane, gruppi di consumatori infuriati hanno citato in giudizio il colosso Quaker, per avere “nascosto” l’utilizzo del glifosato nel produrre i cereali reclamizzati come “naturali al 100%”. Un grave danno alla reputazione del marchio, oltre al rischio di incorrere in sanzioni esemplari e punitive per  il suo titolare, PepsiCo. La mania dell’avena è divampata in USA nel 1987 grazie a uno straordinario best-seller sulla dieta, in cima alle classifiche del New York Times per 122 settimane. “The 8-Week Cholesterol Cure”, del medico californiano Robert E. Kowalski, consacrava i fiocchi d’avena, oatmeal, come la salvezza dalle malattie tipiche dell’americano carnivoro, colestero e infarti. Raccogliendo ampio seguito, dalla celebre nutrizionista Marion Nestle al Journal of the American Medical Association (JAMA). Col risultato di quasi raddoppiare in un paio d’anni i consumi pro-capite del fatidico cereale.

quaker oats pepsico avena glifosatoIl gruppo PepsiCo ha saputo intercettare per tempo il “marchio del quacchero”, una quindicina d’anni fa, con la sua acquisizione e valorizzazione di una miriade di prodotti più o meno vagamente ispirati alla ricetta originale. E come un fulmine a ciel sereno ha d’improvviso raccolto, a fine aprile 2016, l’acrimonia di consumatori negli Stati di New York, California e Illinois, i quali hanno agito in giudizio contro la pubblicità ingannevole di un alimento presentato come del tutto naturale ma che tuttavia rivelava l’utilizzo del demone dei pesticidi, il famigerato RoundUp, o glifosato (1). L’azione legale, si noti bene, non verte sull’ipotetica pericolosità dell’alimento in ragione della sua contaminazione da residui di antiparassitario comunque inferiori ai blandi limiti di legge, ma proprio sulla falsa rappresentazione di salubrità e completa naturalità di un prodotto che non è tale. La pretesa risarcitoria – tutto sommato comprensibile, alla luce delle premesse – è perciò legata al tradimento della fiducia dei centinaia di milioni di consumatori i quali avevano riposto tanta speranza in questo ipotetico toccasana da introdurlo in dosi massiccie nelle loro diete.

glifosato
I residui di glifosato erano comunque inferiori ai limiti di legge

Dal punto di vista legale l’analisi non è semplice poiché si parte da un concetto non definito, ossia la “naturalità” dei cibi, che può venire inteso in svariate accezioni nei diversi territori e nelle varie fasi di produzione ed elaborazione dell’alimento. l concetti stessi di “naturale” e “100% naturale” sono pluri-valenti, e l’informazione al consumatore tende inevitabilmente all’approssimazione – quando non all’inganno – ove manchi una precisa definizione del significato delle varie diciture. In assenza di regole cogenti o anche solo volontarie bensì condivisibili, incombe perciò sull’operatore la responsabilità di spiegare esattamente quale prodotto viene offerto e come esso si caratterizza.

Per ulteriori approfondimenti, si fa rinvio all’articolo su Fare.

Note: (1) Leggi: Armi di distruzione di massa, il glifosato; Glifosato, ora Basta!

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ezio
ezio
16 Maggio 2016 11:58

Vedo che anche in USA va di moda l’aggiramento ai disciplinari del Bio, con le terminologie più traditrici che possono trarre in inganno i consumatori.
L’impiego di “Naturale” o addirittura di “100% Naturale”, può sicuramente fuorviare i consumatori, facendoci credere che questi prodotti siano genuini e puliti da residui chimici.
Questa terminologia, cos’altro potrebbe significare, visto che i fiocchi d’avena sintetici non esistono ancora, se non esenti da inquinamenti estranei al prodotto?

luigi
luigi
Reply to  ezio
17 Maggio 2016 14:24

purtroppo è così, Ezio. frequentando un po’ il nord-america mi è capitato spesso di vedere prodotti contrassegnati da tali terminologie, che falsano la verità. spero vivamente che delle iniziative già prese da parte di associazioni di consumatori ed a difesa di prodotti “organic” vadano avanti nell’intento di far eliminare queste fuorvianti qualifiche nella presentazione dei prodotti alimentari d’oltreoceano.

Roberto Pinton
Roberto Pinton
17 Maggio 2016 19:14

Dopo essersi tenuta per anni accuratamente alla larga dalla questione, la FDA statunitense l’anno scorso ha sollecitato commenti pubblici ull’uso del termine “naturale” sull’etichettatura dei prodotti alimentari.
L’iniziativa è stata in seguito a tre petizioni dei consumatori che chiedevano una definizione ufficiale del termine (finora utilizzato abbastanza liberamente, l’unica raccomandazione è che non ci siano coloranti) e una che ne chiedeva il divieto.
Anche alcuni tribunali, a seguito di controversie tra imprese, avevano chiesto alla FDA di assumere decisioni amministrative che indicassero, per esempio, se gli alimenti contenenti OGM o con sciroppo di glucosio potessero essere etichettati come “naturali”.
Nella richiesta di pareri al pubblico la FDA ha precisato di non essere comunque impegnata in un iter normativo per stabilire una definizione formale del termine; la sua posizione storicamente è stata di considerare “naturale” un alimento privo di sostanze che normalmente non ci si aspetta di trovarci (posizione abbastanza chiara per alimenti non trasformati, ma una vera palude per i prodotti trasformati), senza prendere in considerazione l’uso di pesticidi, i metodi di produzione e trasformazione (sterilizzazione? irradiazione?).
Le domande erano: È opportuno definire il termine “naturale”? Se lo è, cosa dovrebbe definirsi “naturale”? Come dovrebbe essere regolamentato l’uso appropriato del termine sulle etichette?
I commenti si sono chiusi il 10 maggio, è troppo presto per avere l’elaborazione e le valutazioni.
E’ ancora on line la pagina FDA sull’iniziativa (http://www.fda.gov/Food/GuidanceRegulation/GuidanceDocumentsRegulatoryInformation/LabelingNutrition/ucm456090.htm)