La cultura del cibo passa anche attraverso lo studio della lingua, della letteratura, dei dialetti. Lo ricorda il popolare storico della lingua Gian Luigi Beccaria in un piacevole volumetto (Misticanze parole del gusto linguaggi del cibo), da poco uscito in edizione economica da Garzanti, che ci riporta a tempi in cui gli alimenti avevano un valore simbolico e un legame stretto con la nostra identità. A partire dal più banale dei vocaboli «pietanza», di cui abbiamo dimenticato che originariamente stava a indicare il cibo che i conventi offrivano, appunto «per pietà», ai poveri.

La storia dell’alimentazione è anche storia di fame e di carestie, di banchetti pantagruelici sognati o raccontati dalla penna di grandi scrittori come il celebre timballo di maccheroni descritto ne Il Gattopardo da Tomasi di Lampedusa, o il sontuoso risotto raccontato da Carlo Emilio Gadda. E di espedienti per ricavare piatti gustosi dal poco disponibile: nascono così tante ricette povere – pan cotto, acqua pazza. Panzanelle, “briciolata” ossia briciole di pane fritte nell’olio usate per condire la pasta, e molto altro – riproposte oggi come specialità.

Misticanze rende omaggio a tradizioni e parole ormai scomparse: a cibi nati per celebrare specifiche ricorrenze, con un elenco di nomi e ricette che sembra fatto apposta per far tornare all’infanzia i lettori non più giovanissimi, a frutti o produzioni tipiche oggi cancellate o quasi, schiacciate dall’omologazione produttiva. Offrendo una lettura gradevole ricca di aneddoti e di curiosità: quanti hanno notato, ad esempio, che certe vivande sono ribattezzate, quasi per scaramanzia, con nomi tutt’altro che appetibili, come il ris in cagnùn lombardo (letteralmente “riso coi vermi”) ma anche i vermicelli o la frittata rognosa per non parlare dei biscotti ribattezzati peti di lupo o sputacchi di monaca.

Ma Misticanze è anche la conferma che l’Italia del gusto resiste all’omologazione: se la nordica anguria sembra destinata ad avere la meglio sul toscano cocomero, la penisola è ancora divisa tra chi cerca dal pescivendolo il branzino e chi la spigola, chi mangia i cornetti e chi i fagiolini, per non addentrarci nel ginepraio dei nomi assegnati ai diversi tagli di carne.

E a ricordare che i gusti e le mode cambiano c’è il modesto successo ottenuto poco più di un secolo fa dalla pizza, oggi bandiera ufficiale della gastronomia italiana. Fu il toscano Collodi, l’autore di Pinocchio, a definirla «una stiacciata di pasta di pane lievitata e abbrustolita in forno, con sopra una salsa di ogni cosa un po’» e la stessa napoletanissima Matilde Serao dubitava, in uno scritto del 1884, che una vivanda così esotica avrebbe potuto attecchire a Roma. Chissà che cosa avrebbe detto oggi del sushi…

Paola Emilia Cicerone

Gianluigi Beccaria in Misticanze parole del gusto linguaggi del cibo, Garzanti, pagine 233, euro 10,00.