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La trasmissione Report ha mandato in onda un servizio sui food blogger (foto ©Papille Vagabonde)

La trasmissione Report andata in onda su Rai3 il 24 aprile 2017 ha presentato un servizio sui food blogger su cui vorrei fare alcune osservazioni perché non mi sento rappresentato dall’immagine negativa che traspare. Sono un food blogger dal 2007 e il mio sito Papille vagabonde è stato più volte tra i primi dieci nelle classifiche redatte considerando la presenza e la capacità di influenza in rete. Da diversi mesi però il giudizio non viene più stabilito sulla base dei lettori, delle pagine viste, dei link, dell’indicizzazione sui motori di ricerca, ma dal numero di follower dei social network, dove le fotografie e lo “style life” hanno più rilevanza della parole e delle ricette.

“Vuoi essere un food blogger influencer? Vieni nel nostro sito e iscriviti”.  Io ricevo 4 o 5 proposte al mese di questo genere, da sedicenti agenzie di marketing che, a fronte di un’iscrizione a pagamento, ti promettono la pubblicità delle aziende in cambio di una percentuale. Per portare avanti questo discorso e diffondere contenuti a pagamento, diverse agenzie hanno creato nuovi food blogger, visto che quelli veri, indipendenti, presenti da anni in rete hanno difficoltà ad accettare queste richieste. La scelta dei nuovi personaggi, non è quindi collegata al numero di lettori che ti seguono perché sei bravo e alle pagine viste, ma è in funzione della tua disponibilità a pubblicare publiredazionali.

Il giornalista di Report per spiegare il fenomeno, intervista personaggi che non ho mai conosciuto e, secondo me, non rappresentano l’immagine del vero food blogger. Forse sarebbe meglio definirli “food influencer”.  Quello che colpisce di questi personaggi, è la mancanza di contenuti, una carenza compensata dalla presenza dei marchi degli sponsor e dalle “collaborazioni” retribuite. Tanti colori, tante foto ma poca cucina, visto che in molti casi il livello dei piatti è davvero elementare.

I “veri” food blogger propongono ricette realizzate con grande manualità (foto ©Papille Vagabonde)

Leggo in un’intervista di una top blogger “per me il top è l’hamburger, in particolare l’hamburger di Mcdonald’s”. Io capisco che possa piacere l’hamburger, ma allora come conciliare il nome della famosa catena di fast food con le ricette vegetariane, i prodotti bio, l’acqua della fonte del Po, le carote del contadino biodinamico…? “Faccio solo ricette innovative”, recita un’altra food blogger e mentre parla si vedono immagini di una frittata di uova e patate, di una caprese e di un piatto di melanzane alla griglia! Non per essere polemico, ma avete visto i blogger veri cosa propongono sui loro siti? Tirano il mattarello per preparare la sfoglia e tagliano i tortelli meglio di un chirurgo, pizze, gnocchi, lasagne, angelica, torte di rose, biscotti d’ogni tipo, angel cake, altro che melanzana alla griglia.

La prima cuoca farlocca della storia della comunicazione in Italia è stata Lisa Biondi, un personaggio famoso negli anni ’60-’70, inventato da un’agenzia pubblicitaria. I suoi ricettari, allegati alle migliori riviste dell’epoca erano scritti da un gruppo di professionisti. La storia si ripete adesso con alcuni personaggi che scrivono su un blog e dicono di saper cucinare per veicolare i messaggi delle aziende. Il prototipo è questo, non c’è stata evoluzione, è cambiato solo il mezzo, la stampa è stata sostituita dal web e dalla televisione.

Le tariffe per un post firmato da una top food blogger è di 5 mila euro – così dice Report. Se ne scrivi quattro al mese arrivi a 20 mila euro, se conti le parole questa cifra non la guadagnava nemmeno Umberto Eco. Anche i direttori di giornali di cucina e i veri chef che lavorano in cucina tutto il giorno, non guadagnano così tanto. Se un bravo food blogger ha uno sponsor ben venga, ma la sponsorizzazione deve essere fatta in modo corretto, e bisogna segnalare in modo chiaro quando la ricetta è un publiredazionale retribuito. Qualcuno potrebbe pensare che io sia contrario alla pubblicità. Non è così. Se un food blogger è sponsorizzato da una grande azienda, non c’è problema, basta dichiararlo, molti ricevono un piccolo aiuto da uno sponsor per il rimborso spese.

food blogger
Non è grave che i food blogger si facciano sponsorizzare, a patto di dichiararlo (foto ©Papille Vagabonde)

Io non trovo grave che i blogger si facciano pagare, a patto di dichiararlo in modo chiaro. Mi sembra molto più grave scoprire che alcuni giornalisti, come è stato fatto vedere da Report, abbiano rapporti di collaborazione con le aziende di cui parlano negli articoli, oltre che essere soci delle stesse aziende. A cosa serve  l’articolo 10 dell’Ordine dei Giornalisti se non viene rispettato? Se non lo rispettano loro, lo devo rispettare io che non sono un professionista? Non ci voleva Report per capirlo, da diversi anni  alcune recensioni di ristoranti e locali pubblici sembrano “orientate”.

Cari amici di Report quelli che avete preso per blogger non rappresentano il settore. Conosco food blogger favolose che, dopo avere accudito la famiglia, la sera dedicano tempo al loro passatempo preferito la cucina, e preparano un’angelica con lievito madre, sanno fare colombe, panettoni, pane e biscotti a go go. Quando vedo come e cosa cucinano rimango a bocca aperta perché riescono a realizzare  grandi ricette con pochi mezzi e poco budget. Qualcuno, ogni tanto trova qualche sponsor per pagare le spese, ma si tratta solo di casi non così diffusi. Personalmente non ho mai accettato danaro da nessuno.

Per strappare due sorrisi e alleggerire il discorso, provo a descrivere come riconoscere una food blogger “inventata a tavolino” capace di acchiappare click e fan. Non si presenta come una vera cuoca, ma come un “modello” per le altre donne, il fatto di essere una food blogger esperta in cucina, è spesso un pretesto per porsi al centro dell’attenzione e mettere la sua vita a disposizione degli inserzionisti. La sua immagine assomiglia a quella di una fotomodella, sempre pronta e truccata per un selfie. Va tutti i giorni dal parrucchiere e dalla manicure, ha sempre le mani con le unghie colorate (che non vedono mai farina). È preferibilmente fidanzata con uno chef. Nei fine settimana va in giro per il mondo da sola, in luoghi esclusivi. Pubblica ricette caloriche, ma è magra come un grissino. Ogni foto ha un servizio di piatti diverso perché  le immagini da pubblicare sono quelle fornite dalle aziende.

L’immagine dei food blogger proposta da Report non è certo positiva (foto ©Papille Vagabonde)

L’immagine del food blogger proposta da Report non è certo positiva. Alcuni soggetti sono stati presentati come persone in grado di veicolare pubblicità occulta. Anche le recensioni gastronomiche di alcuni quotidiani non hanno fatto una bella figura nel programma. Il mondo della comunicazione dovrebbe essere fatto di credibilità, non bastano i dati tecnici come il numero di lettori, di follower, di contatti, ci sono altri valori che determinano l’influenza di un media. Anche Report, pur essendo una delle trasmissione con il più alto indice di credibilità, non è certo fra le più viste in assoluto. Il suo valore è dato dai contenuti, dai temi che affronta, dalle inchieste, dall’etica e dalla professionalità delle persone che  lavorano in redazione. Il valore del programma e dei giornalisti non è certo collegato al numero dei marchi che mettono su una pagina. Una volta si costruivano i prodotti editoriali per soddisfare i lettori, oggi si costruiscono prodotti editoriali per soddisfare i marchi. La responsabilità è anche delle aziende che generano finti personaggi  a misura di marketing. Servono modelli positivi che rispettano il lettore, in grado di porre al centro dell’attenzione  i contenuti e l’informazione, altrimenti rimane solo spazzatura.

Günther Karl Fuchs – food blogger di Papille Vagabonde

Foto:Papille vagabonde © Riproduzione riservata

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Franca
25 Maggio 2017 19:45

Sei grande! Sono d’accordo pienamente con quello che scrivi. Mi ritrovo nell’immagine della casalinga ( anche se in realtà ho un lavoro piuttosto impegnativo) che la sera spadella e segue con amore i suoi lievitati. Sono una blogger di provincia che fa questo solo per passione! Ho rifiutato sponsorizzazioni perché proprio non mi interessa, così come non dipendo dalle statistiche dei miei followers, che rispetto come fossero amici. Ciao e complimenti!

monica mimangiolallergia
26 Maggio 2017 08:24

chapeau!

Piero
Piero
26 Maggio 2017 12:43

“… il mio sito Papille vagabonde è stato più volte tra i primi dieci nelle classifiche redatte considerando la presenza e la capacità di influenza in rete. Da diversi mesi però il giudizio non viene più stabilito sulla base dei lettori, delle pagine viste, dei link, dell’indicizzazione sui motori di ricerca, ma dal numero di follower dei social network, dove le fotografie e lo “style life” hanno più rilevanza della parole e delle ricette…”
Comprenderà anche lei che fare classifiche su queste basi non CONOSCENDO scientificamente (non voglio urlare ma solo sottolineare il termine) chi vota (il campione o l’universo (già è un grosso problema statisitico considerare chi partecipa, ecc, evito volontariamnete di approfondire)) sono classifiche del piffero. Che lasciano il tempo che trovano visto di che tipologia è composto l’universo degli internauti (uno puo farsene un’idea scorrendo le risposte sui siti, su twitter e facebook (per citare i più noti)). Una tipologia tendente al bassa che pratica scarsamente la ragione e la razionalità, ancor meno l’ABC del metodo scientifico. Dopo di che siamo liberi tutti di fare ed essere quello che volgiamo sulla rete fincè dura. In una discussione con un mio amico studioso del digital divide gli dicevo che oggi come oggi non è poi così male essere sconnessi. Annotazione uso la rete e gli strumenti dell’IT da quando è nata al Cnuce in Italia. Cordiali saluti Piero Borelli

Roberto La Pira
Reply to  Piero
26 Maggio 2017 14:49

Da sette anni conosco e seguo Papille Vagabonde e ritengo che il blog sia uno tra i migliori fra quelli che si occupano di cibo. Gunther è un vero food blogger che spesso fornisce input e punti di vista che noi come redazione de Il Fatto Alimentare utilizziamo. Mi piacerebbe che ci fossero altri food blogger come il suo. Se qualcuno li conosce attendiamo notizie

Tiziana Bontempi
26 Maggio 2017 22:23

Pienamente d’accordo con Gunther.
Anch’io non mi sono sentita minimamente rappresentante nel servizio di Report.
Grazie Gunther.
Tiziana Bontempi

Piero
Piero
27 Maggio 2017 23:39

Annotazione per Roberto La Pira
Visto che il suo commento è identito sotto il mio specifico. Non era contro Papille Vagabonde o altri della stessa specie. Non li conosco nemmeno. Voleva soltanto essere una precisazione di come considero le classifiche che appaiono non soltanto su Internet (ma ora come ora si potrebbe benissimo scrivere con la “i” minuscola) ma anche sui giornali (online o no) se non corredate di un minimo di spiegazione delle metodologie statistiche utilizzate. Chiedo troppo è vero ma d’altra parte per dar credito a qualcuno voglio un minimo di controllo. Altrimenti le prendo per quello che sono discorsi da bar dello sport dove tutti siamo ct della nazionale.
Cordiali saluti Piero Borelli

Maurizio Artusi
3 Giugno 2017 11:32

Opero nell’ambito dell’enogastronomia siciliana di qualità da più di 15 anni, ma solo nel 2009 ho aperto il mio sito web, non è strutturato come un blog, quindi non essendo un pubblicista mi considero un food blogger, anche se grazie ai miei approfondimenti e reportage vengo ormai assimilato ad un giornalista con accrediti stampa ed altro. Ho preso molto sul serio la responsabilità di scrivere comunicando il mio parere su prodotti, produttori e locali, ma sono sempre stato molto lontano e quindi insofferente dalle logiche espresse dal servizio di Report, infatti ospito solo pochi banner generici forniti dal classico Adsense di mamma Google. Come mi finanzio? Con gli eventi di promozione che vanno a completare la parte virtuale costituita dal sito web, quindi completamente gratuita per i soggetti ed i prodotti di cui scrivo. In passato ho avuto degli inserzionisti, da me attentamente verificati tramite approfondimento in azienda al fine di verificarne il parametro qualità e serietà, e non escludo di poterne avere in futuro, ma sempre nell’ottica della massima trasparenza, l’unico aspetto che mi rende libero di scrivere come e di chi mi pare. Non ho visto il servizio di Report, ma vi raccomando di prenderlo per quello che è, un mero tentativo di fare audience che questo pseudo giornalismo ci propina a scadenze ormai regolari, ricordo ancora l’indegno servizio sulla pizza, argomento che conosco bene. Pertanto, secondo me, in risposta c’è solo da rimarcare la differenza tra il gruppo food blogger descritti da Report, e quelli che tutti i giorni arricchiscono il settore in questione.