Attenzione, però: non si tratta di fare una classifica tra bravi e meno bravi, anche perché non tutto il cibo può essere recuperato e donato facilmente. Proprio per chiarire questo aspetto, Perego e collaboratori hanno introdotto il concetto di “fungibilità”, cioè di facilità di riutilizzo. «Per le aziende di trasformazione la fungibilità è molto alta, perché spesso hanno a che fare con prodotti già imballati – per esempio pallet di pasta o di omogeneizzati –  con una scadenza a lungo termine in grado di essere inseriti  facilmente  in una filiera di riutilizzo» spiega il professore. «Al contrario, nel caso dei supermercati o dei centri all’ingrosso spesso la fungibilità delle eccedenze è medio-bassa. Perché si tratta di tanti prodotti diversi, con imballaggi differenti, con date di scadenza magari vicine o molto vicine, da ritirare tutti i giorni o quasi».

Basta pensare ad un ipermercato dove ogni giorno vengono accantonati  50-60 kg di prodotti non più vendibili ma ancora commestibili che comprendono frutta, verdura, pane, latte, formaggi, salumi, biscotti… In queste condizioni diventa praticamente impossibile, pensare a un recupero collegiale a fini solidaristici dell’eccedenza prodotta dai singoli consumatori perchè ci vogliono mezzi di trasporto refrigerati e differenziati.

magazzino 477758955
Eccedenza alimentare: per gestirla c’è bisogno di organizzazione e professionalità, capacità logistica e strutture adatte

Nel complesso, l’indagine conferma che lo spreco è minore negli stadi della filiera in cui la fungibilità è maggiore (aziende e grossisti), ma sottolinea che ben il 51% dello spreco riguarda eccedenze che potrebbero essere facilmente riutilizzate. Che fare, allora, per migliorare la situazione e portare il cibo rimasto invenduto sulle tavole di chi non ha potere d’acquisto? Perego suggerisce azioni mirate per i vari “attori” della filiera, a partire da quelli economici (produttori, trasformatori, distributori). «Serve anzitutto un cambiamento culturale. Anche per colpa di certa stampa, oggi la produzione di eccedenza è considerata un errore di cui vergognarsi, la polvere da nascondere sotto al tappeto. Invece bisogna cominciare a riconoscere che è normale che ci sia e mettersi a lavorare perché venga riutilizzata al meglio. Come? Per esempio smettendo di gestire il di più in modo estemporaneo, ma inserendo questa gestione in processi più strutturati».

Anche gli intermediari, come i banchi alimentari, devono fare la loro parte. «Non basta la buona volontà. Servono organizzazione e professionalità. Bisogna intendersi di logistica, avere strutture adatte – per esempio magazzini e mezzi di trasporto con celle frigorifere – essere in grado di tracciare sempre i flussi di merci, per dimostrare a terzi dove vanno a finire esattamente i prodotti donati». E ce n’è anche per gli enti pubblici, che dovrebbero pensare a qualche contributo per la filiera del riutilizzo: magari la donazione di un magazzino o di un furgone refrigerato, magari qualche incentivo fiscale a chi dona o a chi aiuta. «Abbiamo calcolato che per ogni euro investito da un organismo pubblico in questa particolare filiera si riescono a recuperare 20-30 euro di prodotto» conclude Perego. «Mi viene difficile oggi immaginare un modo più efficace per investire denaro pubblico».

tabelle eccedenza alimentare

tabelle eccedenza alimentare 2

*L’indagine è stata effettuata a partire da diversi materiali: letteratura scientifica e studi governativi, interviste a 10 esperti della filiera agroalimentare, analisi di 124 studi di caso nei vari stadi della filiera, survey su un panel di 6.000 nuclei familiari e studio dell’organizzazione di alcune food banks impegnate nella raccolta delle eccedenze alimentari.

© Riproduzione riservata

Foto: Thinkstockphotos.it