«L’eccedenza alimentare? Bisogna lavorare per ridurla, ma non va sempre considerata come uno spreco, perché può essere una grande opportunità». Parola di Alessandro Perego, ordinario di logistica e supply chain management del Politecnico di Milano, che ha ribadito questo concetto in un convegno sullo Spreco come risorsa organizzato alcune settimane fa a Venezia Mestre. Perego è tra gli autori di un’indagine sulle eccedenze e gli sprechi alimentari in Italia, realizzata un paio d’anni fa con Fondazione sussidiarietà e Nielsen Italia*. Di alcuni risultati di questa indagine si è parlato molto, in particolare del fatto che secondo i dati raccolti gli italiani butterebbero nella spazzatura “solo” l’8% del cibo acquistato, molto meno rispetto al dato del 27% spesso riportato dalla stampa.

In un momento in cui, a causa della crisi economica e dell’aumento della povertà, si torna a puntare il dito contro gli sprechi – lo ha fatto per esempio un’inchiesta sul pane fresco “buttato” realizzata nell’ambito del programma tv Fischia il vento – vale però la pena riprendere i dettagli del lavoro di Perego e colleghi. Per capire meglio dove si generano eccedenze e cosa fare per sfruttare e ridurre gli sprechi.

Cominciamo dalle definizioni: «L’eccedenza è la quantità di cibo prodotto perfettamente commestibile che per vari motivi (logistici, errori di calcolo durante le promozioni, fattori climatici…) non arriva al consumatore attraverso i canali di distribuzione tradizionali. Dunque è un “di più” rispetto alla domanda di consumo» spiega Perego. «Produrre più di quello che serve è di per sé uno spreco; va però va detto che nelle filiere agroalimentari dei paesi occidentali una certa quantità di eccedenza è normale e fisiologica. Un’azienda di trasformazione deve per forza dotarsi di qualche scorta, anche se così facendo si espone al rischio di non riuscire a venderla. Il punto è far sì che questa eccedenza venga recuperata a scopo alimentare, cioè donata a chi ne ha bisogno e non utilizzata come fonte energetica o per l’alimentazione animale. Altrimenti diventa spreco, o per lo meno uno spreco “sociale”». Anche il consumatore può creare eccedenza, soprattutto per motivi legati alla scadenza dei prodotti (o al Termine Minimo di Conservazione), e agli avanzi dei piatti preparati e poi non serviti a tavola (vedi tabelle nella prossima pagina)

Ma di quali numeri stiamo parlando? Secondo l’indagine del Politecnico, ogni anno in Italia vengono generate 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari: 2,5 milioni da parte dei consumatori, l’anello finale della filiera, 2,3 milioni dai produttori primari (gli agricoltori e allevatori, il primo anello) e il resto nella fase di trasformazione (0,18 milioni), distribuzione (0.77 milioni) e ristorazione (0,2 milioni).

eccedenza alimentare 164611147
Produrre più di quello che serve è di per sé uno spreco che però può essere “ottimizzato”

«Presi così questi numeri fanno impressione» afferma Perego. «Però è importante guardare anche un altro dato e cioè quanto valgono in percentuale queste eccedenze, rispetto alla quantità totale di cibo gestita in ogni stadio della filiera». Si scopre così che le eccedenze generate nei campi sono il 2,9% della produzione agricola totale, mentre quelle generate nella fase di distribuzione rappresentano il 2,5% di tutte le merci mobilitate. Ancora meglio accade nelle aziende di trasformazione le cui eccedenze sono pari allo 0,4%, mentre sono maggiori gli impatti nella ristorazione (6,3%) e tra i consumatori (8%). La prima conclusione da fare è che in Italia le eccedenze alimentari non sono altissime e già si fa molto per ridurle. «Il dato percentuale dello 0,4% riferito alla fase di trasformazione indica l’attenzione delle aziende verso questo problema».

Se però consideriamo quante di queste eccedenze si trasformano in spreco il quadro è meno positivo, visto che ogni anno anno vengono sprecate ben 5,5 milioni di tonnellate di cibo per un valore di 12,3 miliardi di euro. Di questa enorme quantità solo mezzo milione di tonnellate di quanto prodotto in più viene recuperato a scopo alimentare e donato a fini solidaristici. Il resto – tantissimo – viene riutilizzato per alimentazione animale o in ambito energetico oppure finisce nella spazzatura. Anche in questo caso conviene dare un’occhiata ai vari stadi della filiera. Il dato  più virtuoso è di nuovo quello della trasformazione, che recupera il 55% delle sue eccedenze. Seguono la produzione primaria, che recupera il 12%, la ristorazione (9%) e la distribuzione (8%). E i consumatori? Di fatto il 100% delle loro eccedenze viene sprecato.