Illusionisti ai fornelli, ricette per la felicità e cucina con il cuore. Ne parla il blogger Günther Karl Fuchs in un post su Papille Vagabonde, che riproponiamo con piacere ai nostri lettori.

Da quando la cucina è diventata il principale argomento dei media, mi sembra di essere uno spettatore al circo equestre. I numeri passano uno dopo l’altro: l’avvocato che diventa chef senza glutine, il geometra del catasto che diventa chef vegano, la laureata in energia nucleare che diventa maestra di sushi e il professore di chimica maestro di bignè. Possibile che tutti quanti siano richiamati solo dal sacro fuoco dei fornelli? Mi piace chiamarli illusionisti della cucina. Una volta gli illusionisti garantivano uno spettacolo professionale: io ricordo il Mago Silvan, persona di grande classe, un artista inimitabile. Ora, senza offesa per nessuno, ma non vado a parlare con il professore di chimica di mio figlio se ho voglia di un bignè. Personalmente questi illusionisti possono strapparmi qualche applauso, a volte qualche risata, ma mi fanno più che altro tristezza.

Nel 2015 sono stati scritti circa 1.200 i libri di cucina pubblicati in Italia, più o meno cento al mese. L’impressione è che siano anche aumentati. Cosa rimane di tutti questi libri? Nulla (tranne qualche rara perla). In realtà i buoni libri di cucina non mancano, solo che si perdono per merito di queste proposte, come dire, “surreali”, che attirano attenzione per non meglio denominate qualità. Una volta i libri di cucina duravano 10, 20, 30 anni o anche di più, ora resistono sugli scaffali anche meno di una settimana. In libreria ogni sette giorni si rinnova il banco delle offerte di cucina e queste proposte scompaiono alla velocità della luce. Sembra che ci si trovi di fronte a progetti editoriali di bassa qualità che per stimolare l’interesse si vedono costretti a spaziare su argomenti che poco hanno a che fare con l’enogastronomia.

Certo le ricette non sono dei copia e incolla, ma hanno molto del già sentito dire e ridire. Non spiccano per originalità, diciamo così: pasta aglio, olio e peperoncino, cacio e pepe, al limone… Vista la grande originalità, le ricette da dove arrivano? Non c’è nulla di male nell’indicazione di una fonte: questo sarà testimonianza di cultura enogastronomica e non il frutto di una seduta spiritica con la buon’anima! L’aspetto più divertente di alcuni libri di cucina sono i ringraziamenti: chi si ringrazia dopo avere scritto un libro di ricette di cucina? Lo sponsor? No. Il cuoco che ha aiutato? No. Uno chef che ha ispirato? No! Chi ha fornito i servizio di piatti? No. Il fruttivendolo che porta la spesa a casa gratis? No. Si ringraziano la parrucchiera e la truccatrice, fondamentali per scrivere un libro di cucina! Sarà stato il sedano o la carota ad avere bisogno di una messa in piega al ciuffo prima di passare in padella? Ma voi avete mai visto Umberto Eco che a fine libro ringraziava il barbiere? Ricordo simpaticamente un ricettario di cucina dove nei ringraziamenti c’era perfino il chirurgo plastico. Ecco, le ricette del chirurgo plastico proprio mi mancavano!

La cucina non si fa con il “cuore”ma con l’esperienza e la tecnica

Io non apprezzo le gare e i talent show sulla cucina, tutti, dalla Prova del Cuoco ai vari Masterchef. Chiunque usa una telecamera sa che deve essere tutto già pronto: i costi sono alti, quindi non è possibile improvvisare e si segue uno story board, un canovaccio, un testo, un racconto. Eppure la sensazione provata dopo dieci minuti di trasmissione è che i partecipanti non sanno più cosa dire: i silenzi in televisione sono come degli abissi, una mancanza che viene riempita con frasi già pronte o suggerite da una lavagna. C’è perfino un programma che in diretta TV cerca informazioni su internet. Ma sei esperto di cucina o di ricerca su internet?

Proprio l’altra sera ho visto una di questi programmi di competizioni tra chef, dove dei “cuochi” molto giovani, tra i quali un diciottenne, venivano giudicati da due esperti di cucina, giornalisti d’enogastronomia di 20 e 23 anni, due autentici illusionisti che hanno parlato del nulla, pontificato per dieci minuti. Ai miei tempi i ragazzi giovani e non laureati li si mandava a portare i caffè o, al limite, a rispondere al telefono e non in televisione a lodarsi della loro ignoranza, sopratutto se messi a confronto con conduttori-chef con 30 anni d’esperienza. Non nutro alcuna simpatia per Cracco & Co., tuttavia si tratta di persone d’esperienza con 30 anni di lavoro alle spalle. Non fanno nulla per generare empatia ma a vederli in secondo piano rispetto a due ventenni deliranti non si sa se ridere o piangere. Ripetevano incessantemente frasi fatte del tipo “non c’è più la mezza stagione”, lascialo dire a chi di stagioni ne ha viste un po’ di più per favore! Una delle frasi più ripetute è “la cucina si fa con il cuore”. No, la cucina si fa con la tecnica, con la cultura, con la conoscenza, con l’esperienza. La cucina con il cuore la fai a casa se devi cucinare per la tua famiglia, ma se sei uno chef o vuoi diventare uno chef di un ristorante, non ti basterà solo il cuore.

Un’altra abitudine di molti programmi è di abbinare spesso le parole “cucina” o “ricetta”“felicità“. Ma quale sarà la felicità? Quella scritta nei Baci Perugina o nel biglietto della lotteria? La felicità di chi vende o di chi compra un libro? La felicità non si vende e non si compra, perché è un concetto troppo personale e soggettivo. Perché bisogna scrivere che vendi “ricette per la felicità” e non dire semplicemente “ricette di buona cucina”?

Mi è giunta all’orecchio la possibilità che, visto il calo d’ascolti, molte di queste trasmissioni termineranno: alcune stanno in piedi solo per gli sponsor e non per il numero di spettatori. Se dovessero chiudere non mi dispiacerebbe: fatevene una ragione, avete messo dei personaggi che non hanno nessuna cultura e nessuna dialettica a riempire il video di luoghi comuni come “bravo, questo l’hai cucinato bene perché l’hai fatto con il cuore”. Questa frase può essere molto bella se detta una sola volta, ma quando viene ripetuta ogni 5 minuti a 20 concorrenti diversi in tutti i programmi, scappa da dire “ma datemi uno che cucina con la testa per favore!” Mi piacerebbe che gli argomenti di cucina, o “food” come si dice oggi, venissero trattati da persone competenti. Tutti mangiamo e molti di noi preparano da mangiare a casa, ma questo non fa di noi degli chef. Spero che torni nel settore della comunicazione il desiderio di contenuti e di competenza al posto della spettacolarizzazione dei fenomeni da baraccone degli illusionisti della cucina.

Günther Karl Fuchs – Papille Vagabonde

Fonte immagini: Papille Vagabonde e Fotolia

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pj
pj
13 Novembre 2017 16:08

e per questo che mi esprimo dicendo che per me la trasmissione migliore è top chef,
li non si insulta le persone, li si incita in modo ferreo ma, non denigrandole per un mero secondo me modus operandi che ormai ha preso piede in tv, “la litigaa fa share”.
Inoltre con la scusa che se mi cadi sotto stress non sei adeguato adirigere come diceva fantozzi
è una cavolata pazzesca.
La verità che ormai la tv non è piu educativa ma puro business, va dove ti porta il denaro
quindi non importa mettere uno in gamba, basta che renda in tv..
Fate vi prego un articolo su i vari campionati del mondo di pizza che ci sono e vi farete delle
risate quando uno vi dira sono campione di pizza e un altro anche io, ma come è possibile
oppure guardando gli oracoli di dove mangiare bene, per le pizze a taglio ce ne sono due che appartengono allo stesso personaggio, sarà perché le altre pizzerie di roma sono sotto di lui
o per altro? bah? quello che si nota è che la gente non ha il coraggio di fare azioni (cioè cambiare canale, scrivere e fare gruppo sui social che dicano basta ecc..) che costringano questi modi televisivi a cambiare e magari a tornare a quando per chi non sapeva leggere in italiano c’era una bella terasmissione tv che ti aiutava, che nostalgia..

Francesco
Francesco
21 Novembre 2017 14:45

Come mai non avete parlato anche dei Blog di cucina?
C’è ne sono a milioni e si copiano le ricette e notizie uno con l’altro!!

Costante
Costante
22 Novembre 2017 11:54

Si vede che il giornalismo televisivo non ha più altro da offrire dal punto di vista dei contenuti , di cui quei “giornalisti” sono privi. Sono trasmissioni civetta dove si vende pubblicità, dove la lingua italiana è superbistrattata e l’ignoranza sparsa a mani larghe. Ma è ancora giornalismo? E’ ancora intrattenimento? E’ ancora buongusto?
Siamo sulla china di un degrado totale da cui gran parte delle testate non sanno tirarsi fuori per mancanza di stimoli culturali , e diciamolo, di professionalità, deontologia e anche di fantasia.
Qualcuna di loro mi contraddica.