Come abbiamo segnalato su Ilfattoalimentare, la polemica contro le quantità giornaliere indicative, “Guideline Daily Amounts” (GDA’s, Nutrition Keys in Usa) è sbarcata negli Stati Uniti.

Le GDA’s o Nutrition Keys o Reference Intake offrono un’informazione nutrizionale sintetica che esprime il contributo in percentuale di una porzione di alimento rispetto al fabbisogno medio giornaliero: per esempio, una porzione di prodotto apporta 200 kcal, pari al 10% del fabbisogno energetico medio di ogni giorno.

È un sistema obiettivo (anche se richiede un piccolo ragionamento per essere compreso), tanto che la Commissione europea, d’accordo con il Parlamento e il Consiglio, lo ha previsto nel nuovo regolamento per informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari. Da dove nasce la polemica?

I nemici giurati delle GDA’s sono i “semafori” (traffic lights) ideati nel Regno Unito qualche anno fa e si tratta di un sistema che permette di  etichettare  i prodotti alimentari con i colori verde o giallo o rosso  (come un semaforo) sulla base del valore energetico e del contenuto di grassi saturi e trans, zuccheri, sale. La lettura è senza dubbio immediata. Ma in questo modo c’è qualcuno che decide a priori al posto dei consumatori quali alimenti sono salutari, quali sono da consumare con moderazione e quali da evitare, sulla base di uno schema predeterminato. Secondo alcuni esperti si tratta di un modo un  po’ troppo semplicistico che non sempre fornisce indicazioni ragionate.

Battaglie, migrazioni e pentimenti – Il Parlamento europeo, già nella prima lettura della proposta di regolamento “food information to consumer”, aveva respinto l’idea dei semafori, considerandola una  grossolana discriminazione tra cibi  “buoni” e “cattivi”.

In Romania invece l’etichetta a semaforto ha avuto successo, tanto che il 16 maggio l’assemblea parlamentare ha approvato un apposito disegno di legge. Adesso il dibattito infervora negli Stati Uniti e in Australia dove  i sostenitori del semaforo stanno cercando adesioni.

La situazione è altalenante visto che nel Regno Unito dove è stato sperimentato per la prima volta il semaforo  alcuni pionieri dei “traffic-lights” hanno riconsiderato le loro posizioni.

Perché il semaforo non funziona – Applicare la segnaletica stradale alle etichette dei cibi è irragionevole, per vari motivi.

Non ci sono alimenti buoni o cattivi in assoluto perché molto dipende dalle quantità e dalle combinazioni. Alla fine è il pasto nel suo complesso che classifica una dieta come equilibrata o squilibrata. Il contenuto di sodio o calorie di una porzione di parmigiano, per esempio, può essere compensato se  viene consumato come “pietanza” accompagnato da una giusta quantità di pane e tanta verdura; viceversa, l’elevato tenore delle proteine e del calcio di facile assimilazione offerte da questo formaggio non è comparabile a quello di altri formaggi più magri mangiati all’interno di un pranzo con primo, secondo, contorno e dessert.

– Il sistema dei semafori può dissuadere i consumatori dall’assumere nutrienti (come le proteine, i grassi mono e polinsaturi) e micronutrienti (vitamine e minerali) contenuti in alimenti che, a dispetto del giallo o del rosso, costituiscono elementi essenziali per una sana alimentazione.

– I colori del semaforo prescindono dalle quantità delle porzioni, per cui una persona può  paradossalmente consumare una quantità elevate di  alimenti  “verdi”,  assumendo calorie e nutrienti in quantità maggiore rispetto a  porzioni più contenute di alimenti “gialli” o “rossi”.

– I semafori sono applicati solo sui prodotti alimentari preconfezionati, che costituiscono il 50% circa di un  pasto. Le indicazioni valgono  poco se poi ci si alimenta con altri pasti squilibrati fuori casa.

Il sistema è  diseducativo rispetto all’attenzione verso una dieta equilibrata dove è buona regoal fare un bilancio tra energie assunte e consumate. Ancora: sotto il profilo culturale e psicologico, quale atteggiamento possono avere i giovani e i bambini in particolare di fronte a segnali che presentano i cibi come “cattivi” o “pericolosi per la salute”?

Patrick Touniant, responsabile dell’Unità di nutrizione pediatrica dell’ospedale Armand Trousseau di Parigi, insieme a Fabiola Flex, giornalista, nel libro L’Alimentation de vos enfants. Enquete sur le marketing et les idées recues (ed. Denoël Impacts) sono stati i primi a interessarsi di questo problema. Gli autori  raccomandano un approccio sereno e costruttivo al cibo, trasmettendo a bambini e adolescenti il piacere di una sana alimentazione, senza sensi di colpa.

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