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Ci sono forti dubbi sulla validità dei test di valutazione della carne italiana

Il ministero della salute ha pubblicato i risultati relativi ai controlli sulla carne bovina in Italia. I dati sembrano rassicuranti (solo lo 0,11% delle analisi ha dato risulta negativi) ma, come abbiamo scritto qualche giorno fa, rimangono forti dubbi sui metodi di valutazione.

Il Sottosegretario alla Salute Vito De Filippo ha risposto il 30 giugno a un’interrogazione presentata dal M5S dopo la trasmissione della Rai Report del 26 aprile, in cui si denunciavano comportamenti scorretti da parte di allevatori e veterinari che facevano passare per regolamentari carni trattate con anabolizzanti e ormoni sessuali. L’interrogazione presentata dall’Onorevole Mirko Busto, mette in dubbio la validità delle analisi chimiche realizzate prelevando  sangue e urine dagli animali, perché non sono in grado di  rilevare l’impiego di sostanze anabolizzanti o proibite somministrate nei due giorni precedenti il prelievo.

Busto invita il Ministero ad adottare due metodologie già utilizzate ma non ufficializzate: l’analisi del pelo e il metodo istologico.

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La carne italiana è davvero sicura?

Nella risposta all’interrogazione, il sottosegretario De Filippo sostiene che l’esame istologico è un sistema valido solo come screening, e si può considerare un punto di partenza per evidenziare gli allevamenti a rischio e  procedere con ulteriori controlli. Non è accettato come ufficiale in quanto non fornisce dati precisi, ma si limita a rilevare un’anomalia. “Nel corso degli anni – scrive De Filippo – i risultati del test istologico vedono una prevalenza di casi «sospetti» di trattamento con steroidi sessuali pari al 2 per cento. Tale percentuale, essendo costante negli anni, è oggetto di ulteriori approfondimenti, legati al dubbio che tale risultato possa essere imputabile alla produzione naturale di ormoni. Per i corticosteroidi, presenti in farmaci autorizzati per il trattamento su animali, la prevalenza di sospetto all’esame istologico è dell’11 per cento. A fronte di tali sospetti sulla base delle lesioni anatomopatologiche, i controlli sugli animali eseguiti con il metodo chimico per la ricerca di residui di sostanze farmacologicamente attive, non hanno rilevato non conformità.”

Il Ministero ha finanziato un progetto di ricerca biennale con l’obiettivo di migliorare l’accuratezza del test istologico, proprio per integrare l’approccio chimico con quello biologico. Già nel 2013 sono state proposte norme per aumentare l’efficacia dei controlli; “sono altresì in discussione, a livello europeo, i nuovi regolamenti sull’utilizzo del farmaco veterinario e sui controlli per la ricerca dei residui, e in tale sede la posizione italiana è quella di proporre l’adozione di misure ancora più stringenti a tutela dei consumatori” ha dichiarato il sottosegretario.

L’amara conclusione è che a fronte di validi sospetti sull’11% dei capi, non ci sono efficaci politiche di controllo negli allevamenti dove presumibilmente vengono utilizzati impianti di somministrazione di sostanze vietate.

 

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Sandro kensan
3 Luglio 2015 14:55

Ecco, la conclusione mi pare molto sensata.

Giuseppe Bianchi
Giuseppe Bianchi
4 Luglio 2015 18:22

è una lotta persa. bisogna istruire i consumatori che carne magra e chiara è sintomo di ritenzione indotta e quindi sospetta, ciò costringerà i vari ministeri sanitari dei paesi UE a cambiare strategia e a non consentire più l’utilizzo dei farmaci come i cortisoidi, i corticosteroidi, i beta agonisti, i beta bloccanti e compagnia cantanti, ma bisogna anche dare sostegno agli allevatori perchè il reddito da allevamento naturale è negativo e non si può pretendere di avere carne a buon mercato prodotta in tutti i paesi europei; per ragioni ambientali, della morfologia del territorio dei fattori ambientali, non si possono avere allevamenti con prodotti simili e costi simili in tutta europa. la carne si può fare solo in alcune regioni dove la natura ci aiuta a tenere bassi i costi e la tassazione fiscale non è rapace come in italia.certo la GDO che considera la carne come un prodotto di filiera standardizzato e costringe gli allevatori a restare nei costi minimi di mercato non aiuta ad avere carne pulita. ogni animale deve avere uno sviluppo dettato dalla genetica, dal metabolismo, dai fattori ambientali e quindi diverso uno dall’altro, che comporta rese al disosso non standardizzate, e i prezzi dei capi vivi e delle carni si formano nei mercati del vivo e delle carni all’ingrosso ormai chiusi o destituiti, per consentire ai piccoli allevatori di essere sul mercato. ma in italia questo va contro gli interessi della filiera