latte

Bruxelles boccia di nuovo una proposta di etichettatura. “L’Italia è tenuta a non adottare l’articolo 2, 3… per quanto riguarda l’obbligo di indicare sull’etichetta il luogo di origine del latte: pastorizzato microfiltrato, pastorizzato ad elevata temperatura, Uht, microfiltrato a lunga conservazione, sterilizzato, e dei prodotti lattiero-caseari”.

In queste poche righe pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 22 aprile 2010, la Commissione di Bruxelles boccia la proposta dell’ex ministro Zaia del 25 agosto 2009. Il testo proponeva di indicare l’origine sulle confezioni di latte, e la provenienza del latte utilizzato per formaggi, latticini e cagliate. La Gazzetta Ufficiale chiede “alle autorità italiane di non adottare le disposizioni in questione previste dal progetto di decreto”.

Finisce qui l’ennesima inutile richiesta italiana (dopo quella presentata tempo fa a Bruxelles per l’olio extravergine di oliva, la passata di pomodoro e altri prodotti) di voler indicare a tutti i costi l’origine delle materie prime dei prodotti alimentari, con la scusa di voler difendere i prodotti italiani e i cittadini. La questione del made in Italy nel settore alimentare quando viene usata male, come in questo caso, confonde le idee ai consumatori. La legge europea prevede obbligatoriamente sull’etichetta l’indicazione dell’origine per molti prodotti (carne bovina, uova, miele, latte fresco, pesce fresco…) oltre alle DOP, IGP e STG. È importante ricordare che i produttori sono sempre liberi di indicare su base volontaria l’origine degli alimenti in etichetta.

Va poi precisato che gli alimenti importati non sono di qualità inferiore per definizione, ma ogni settore presenta delle specificità. Il latte fresco francese, austriaco e soprattutto quello tedesco non hanno nulla da invidiare a quello italiano, anzi… La stessa cosa vale per il burro da centrifuga importato dai paesi del Nord-Europa, sicuramente migliore rispetto al burro di affioramento tipicamente italiano. Chi produce pasta sa che gli spaghetti di buona qualità necessitano di farina ricca di glutine importata anche dal Canada e altri paesi americani. Lo stesso problema si presenta per il panettone, che senza farina importata difficilmente risulterebbe così buono! Anche sull’olio ci sono molte cose da dire. L’olio extravergine di Creta è buono quanto quello di Frigintini in Sicilia.

È scorretto lasciare credere ai consumatori che l’olio extravergine delle nostre regioni sia buono solo per il fatto di essere ricavato da olive italiane. Anche sui prodotti alimentari cinesi importati va detto che nei punti vendita non se ne trovano facilmente, a parte i prodotti etnici come gli spaghetti e la salsa di soia. I più volenterosi devono rovistare nel reparto surgelati e cercare qualche confezione di gamberetti per avere successo. Lo stesso concentrato di pomodoro importato dalla Cina nel 99% dei casi viene rilavorato dalle aziende italiane ed esportato all’estero. Questo concetto va detto chiaramente per non creare ambiguità sulla passata di pomodoro venduta nei nostri supermercati.

Per la frutta vale lo stesso discorso: la qualità dipende soprattutto dalle modalità di raccolta e non dall’origine. Se le albicocche, le pesche o le pere sono raccolte acerbe per evitare perdite e ammaccature durante la fase di raccolta e confezionamento, quando arrivano al consumatore avranno un ottimo aspetto ma il sapore risulterà mediocre. La distanza conta abbastanza poco: le zucchine, le melanzane i pomodori e la frutta arrivano sugli scaffali dei supermercati milanesi dopo 1, al massimo 2 giorni la raccolta, se provengono dalla Sicilia.

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