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Dimmi come mangi e ti dirò quanto inquini, o meglio, quanta acqua consumi. Se il calcolo dell’impronta ecologica nella produzione dei cibi è ormai una pratica conosciuta, è forse un po’ meno nota l’esistenza della cosiddetta “impronta idrica”, cioè la stima dell’acqua consumata per portare alimenti e bevande sulle nostre tavole.

Lo spreco del preziosissimo “oro blu” è uno degli elementi su cui si è concentrata l’indagine promossa dal Barilla Center for Food & Nutrition, che ha costruito un’originale “piramide idrica”, sulla falsa riga della più famosa “piramide alimentare.” Da notare: i cibi che vanno consumati con più moderazione per motivi di salute sono anche quelli a maggior impatto ambientale e idrico. La ricerca ha infatti assegnato l’etichetta di cibi “water friendly” a frutta, verdura e cereali. Tra le bevande, invece, il trofeo è andato all’acqua del rubinetto e al tè, la cui produzione ha un impatto lieve sulle risorse blu del Pianeta.

L’impronta idrica, vale a dire il costo in acqua diretto e indiretto di ogni cibo, è la somma di diverse componenti. La prima è l’impronta idrica “verde”, cioè l’acqua piovana traspirata durante la coltivazione. Poi, c’è l’impronta idrica “blu”, ossia l’acqua sottratta al ciclo naturale e impiegata nelle produzioni. Infine l’impronta idrica “grigia” che è il volume di acqua che necessita di un trattamento prima di essere restituita all’ambiente.

Nella categoria degli alimenti, il Barilla Center for Food & Nutrition boccia la carne rossa: per produrne un chilo occorrono oltre 15 mila litri d’acqua. Nella lista “nera” delle bevande più idrovore, invece, troviamo il tanto amato caffè: produrne un litro costa 1.127 litri d’acqua. Per un litro di latte, invece, circa un migliaio, e poco di meno per una bottiglia di vino. Più sostenibile il tè, che si ferma a 120 litri. Discorso diverso per le bevande gassate che, oltre a richiedere acqua nella produzione, hanno un’impronta idrica grigia non trascurabile. Senza contare il packaging: le lattine e le bottiglie di plastica contribuiscono alla produzione di migliaia di tonnellate di rifiuti.

Sul tema è importante sensibilizzare soprattutto i giovani (ai quali è difficile proporre una tazza tè in discoteca). A loro va spiegato che non tutte le bevande sono uguali in termini ambientali. Cocktail e alcolici, per esempio, possono contenere ingredienti che fanno lievitare notevolmente l’impronta ecologica, come, ad esempio, lo zucchero grezzo thailandese. A stilare questa classifica molto particolare sono gli organizzatori di Happy Hour Happy Planet, campagna di ecosostenibilità attiva in alcuni locali milanesi dove, grazie a un computer, è possibile verificare i chilometri percorsi da ciascun ingrediente delle bevanda scelta.

Foto: Photos.com

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