Il problema dell’arsenico nell’acqua potabile di 128 comuni italiani ( vedi allegato) esiste,  è serio, ma non bisogna creare allarmismi, perché le persone interessate bevono quest’acqua da almeno sei anni.

La situazione è particolarmente critica nel Lazio dove i comuni interessati sono 91, mentre in altre regioni (Lombardia, Toscana e Trentino-Alto Adige) la questione riguarda solo alcune aree. Complessivamente le persone coinvolte sono quasi un milione.

La prima cosa da sapere in questa vicenda, è che l’arsenico non finisce nella falda acquifera in seguito ad inquinamento esterno, ma si trova naturalmente. I comuni colpiti dal provvedimento della Commissione europea conoscono il problema da almeno sei anni, tanto da avere richiesto per ben due volte la deroga. Le deroghe sono state concesse per intervenire e rientrare nei limiti di legge che prevedono dal 2001 un tenore di arsenico massimo di 10 microgrammi/litro, rispetto ai 50 microgrammi/litro precedenti. Purtroppo solo alcuni comuni si sono adoperati per ridurre il tenore di arsenico, gli altri hanno ignorato la questione sperando in un “miracolo”.

 Il miracolo però non c’è stato e la Commissione ha negato l’ennesima deroga  (vedi allegato), ritenendo di avere concesso un periodo di tempo congruo. In realtà la Commissione ha proposto un compromesso, accettando temporaneamente un livello di arsenico massimo di 20 microgrammi/litro, che però risulta troppo stringente per molti comuni laziali.

Che fare? Le possibilità sono tre dicono gli esperti, la prima consiste nel miscelare l’acqua ricca di arsenico con altre che ne hanno poco e rientrare nei limiti europei. La soluzione è interessante, ma per realizzarla occorre avere almeno un’altra fonte idrica a disposizione nelle vicinanze, con un’idonea portata e con pochissimo arsenico (ipotesi non proprio facile da realizzare perché le acque sotterranee di una zona spesso hanno caratteristiche chimiche simili).

La seconda possibilità prevede l’individuazione di nuove risorse idriche. Si tratta di un percorso complicato, oltre ad un evidente aggravio di costi che pochi gestori di acquedotto sono disposti ad accettare.

La terza ipotesi è quella di trattare l’acqua prima di mandarla in rete, con procedure quali la precipitazione, i processi a membrana o di adsorbimento, la rimozione biologica, i processi a scambio ionico, anche se i sistemi necessitano di risorse notevoli  che i gestori preferiscono evitare. 

La situazione attuale risulta molto critica, perché non si può dire ai cittadini che è mancato il tempo per trovare adeguate soluzioni al problema. La prova di questo  “disagio” si avverte anche al ministero della salute che, due settimane  dopo  avere ricevuto la notizia da Bruxelles,  non ha pubblicato la lista dei comuni coinvolti e non ha diramato comunicati, lasciando i cittadini e gli organi di stampa senza informazioni.

L’altro aspetto grave è che la maggior parte delle persone interessate, da 6 anni beve acqua con un eccesso di arsenico senza saperlo. Informare i cittadini è invece un dovere istituzionale, previsto esplicitamente dall’Unione Europea quando  concede una deroga.

Il ministro e il suo staff non possono quindi  sminuire la gravità della situazione e non sanno proprio cosa fare.

La questione arsenico nelle acque potabili è stata anche esaminata poco tempo fa dall’Autorità per la sicurezza alimentare europea che ha sede a Parma. «L’opinione scientifica risale all’ottobre 2009 – spiega Francesco Cubadda, esperto di arsenico nella catena alimentare dell’Istituto superiore di sanità. Il documento dice che anche se è ipotizzabile l’esistenza di una soglia per gli effetti tossici dell’arsenico inorganico [quello presente nell’acqua, NdR], l’Efsa non ha ritenuto opportuno definire una dose che non presenti rischi apprezzabili per la salute, ossia una dose tollerabile giornaliera. C’è di più, considerando un’alimentazione ordinaria con un apporto di arsenico dall’acqua potabile limitato (la concentrazione media in Europa è inferiore ai 2 microgrammi/litro) si è concluso che non è possibile escludere l’esistenza di un rischio per alcuni consumatori». Se la situazione è questa cosa si può dire quando l’acqua contiene 30, 40 o 50 microgrammi/litro come avviene nei 128 comuni  italiani?

Sugli effetti associati all’ingestione a lungo termine di arsenico inorganico, l’Efsa evidenzia la possibilità di: lesioni cutanee, tumori alla vescica, ai polmoni e alla pelle. Evidenze esistono anche per gli effetti tossici sullo sviluppo, la neurotossicità, le malattie cardiovascolari, l’interferenza col metabolismo del glucosio e il diabete.

Di fronte a queste parole è difficile ignorare il problema,  anche perché il valore massimo di 10 microgrammi/litro  (attualmente in vigore e valido per l’acqua del rubinetto e per le minerali in bottiglia), è un livello stabilito a livello mondiale considerando le diverse situazioni in Asia e in Africa, dove è impossibile scendere al di sotto, anche dal punto di vista dei metodi di analisi. In altre parole se il valore dell’arsenico e inferiore è meglio per tutti.

Che fare? Rispondere è complicato, forse perché Bruxelles dava per scontato che la popolazione residente fosse adeguatamente informata. In assenza di questo tassello ritenuto fondamentale si capisce il disorientamento di certi comuni.

Adesso i cittadini possono solo utilizzare acqua minerale, oppure dotarsi di apparecchiature con un sistema di filtrazione ad osmosi inversa in grado di catturare le particelle di arsenico (da 500 a 1000 euro).

 Si può continuare a bere l’acqua? Certo proseguire per qualche settimana o qualche mese non è gravissimo, visto che si è fatto per anni, ma prima o poi bisogna smettere.

La cosa da non fare è creare una situazione di panico, anche se la parola arsenico non è certo di buon auspicio. E’ però importante scindere il concetto di rischio da quello di pericolo. Il pericolo arsenico è reale,  esiste ed è anche serio visto che si parla di tumori ecc, ma il rischio è un’altra cosa. Quando si dice rischio si intende una maggiore probabilità di contrarre una patologia. In altre parole i gruppi di  popolazione che  hanno bevuto per anni acqua ricca di arsenico, statisticamente hanno più probabilità di contrarre una malattia. Questa maggiore probabilità però è collegata alla suscettibilità individuale, alle abitudini di vita, agli ambienti di lavoro frequentati, all’esposizione ad altre sostanze tossiche e ad altri fattori che possono favorire in sinergia l’insorgere delle malattie.

L’acqua dei comuni interessati non è diventata “velenosa” o “pericolosa” in una settimana, la quantità di arsenico è la stessa di prima, ma bisogna provvedere. La cosa incresciosa e che le persone non sono state informate adeguatamente, e adesso si trovano con un problema che doveva essere già risolto.

Roberto La Pira