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Allerta alimentare
La mancanza di una cabina di regia riguarda anche le questioni più semplici di allerta alimentare

Il sistema per la sicurezza alimentare in Italia è considerato di buon livello, grazie al numero di analisi e verifiche portate avanti soprattutto dalle Asl e dagli uffici veterinari sul territorio. La struttura è ritenuta “virtuosa” da molte istituzioni straniere, perché buona parte degli addetti ai controlli sanitari dipende dal Ministero della salute, e quindi operano in autonomia rispetto ad altri Ministeri come quello dello sviluppo economico, o delle politiche agricole, più collegati al mondo produttivo.

Non altrettanto positivi sono i giudizi quando si affronta il problema della gestione delle crisi alimentari, dove si registra un discreto livello di incapacità e disorganizzazione che crea solo confusione e allarmismo tra i consumatori e spesso danni d’immagine alle aziende. Quando di fronte a un’emergenza occorre spiegare ai cittadini quali sono i rischi per la salute, e dire come comportarsi, il sistema fa acqua da tutte le parti.

Negli ultimi 20 anni il Ministero della salute ha dimostrato una scarsa capacità nella gestione delle criticità che si susseguono con frequenza settimanale. La scelta è stata quella di ignorare il problema, cercando di mantenere il segreto su ogni caso di allerta alimentare, negando le informazioni anche ai giornalisti. Si tratta di una decisione per nulla condivisibile, che lascia spazio agli allarmismi, alla diffusione di false notizie e di bufale. A fronte di un pubblico che chiede sempre più trasparenza e chiarezza, il Ministero si chiude a riccio e rifiuta di diffondere le informazioni. Centinaia di episodi di gestione delle allerta e di richiami di prodotti alimentari che abbiamo seguito in questi anni, dimostrano questa tendenza al silenzio.

Quando si è di fronte a un’allerta alimentare occorre spiegare ai cittadini quali sono i rischi

Per rendersi conto dell’improvvisazione che caratterizza le crisi, basta ricordare alcuni casi clamorosi. Al primo posto troviamo l’influenza aviaria nel biennio 2005/2006. Tutto inizia dopo alcune azzardate dichiarazioni del Ministro della salute di allora, Francesco Storace che in un discorso cita la parola “pandemia”, creando il panico in tutto il Paese. La vicenda è preoccupante perché l’ipotesi fatta dal ministro di uno sviluppo incontrollato del virus, non è supportata da riscontri concreti e nemmeno dal parere degli esperti. La comunicazione sull’influenza aviaria portata avanti per mesi dal Ministero è disastrosa, con risvolti drammatici a livello economico per il settore delle carni avicole. Vale la pena ricordare che l’allarmismo italiano sul problema aviaria, non trova riscontri in altri Paesi europei, dove si registrano veramente casi di influenza. I nostri veterinari hanno sempre escluso un rischio per la salute dei consumatori, ma nessuno ha voluto ascoltarli. L’amara conclusione della vicenda è che in Italia nel corso dell’influenza aviaria non è morto un solo pollo e non si ha traccia di persone ammalate, ma le vendite sono crollate.

Il secondo episodio critico riguarda l’epidemia di Epatite A provocata dai frutti di bosco surgelati. Si tratta di un’altra pagina drammatica del nostro sistema di prevenzione sanitaria. In questa storia le cose sono andate in maniera opposta rispetto all’aviaria. I giornali e i media hanno praticamente ignorato la vicenda, anche se in Italia l’epidemia ha provocato 1.787 ricoveri in ospedale! La questione è stata seria, ma nessuno se n’è accorto tranne gli addetti ai lavori.

Poi c’è la farsa della mozzarella blu del 2012 e quella invece più seria del pesto al botulino nel 2013. L’elemento che raggruppa i vari episodi di allerta sanitaria, è l’assenza di una cabina di regia in grado coordinare l’informazione. Anche nella frode commerciale della carne di cavallo del 2013, utilizzata al posto della carne bovina, il Ministero della salute si è fatto notare per le poche indicazioni destinate ai cittadini e per l’inconsistenza dei comunicati. Per la mozzarella blu importata dalla Germania, le autorità sanitarie hanno impiegato giorni per dire che la colorazione anomala, pur essendo un fatto sgradevole, non era correlata alla presenza di batteri patogeni. Questo ingiustificabile ritardo ha provocato paure e fobie, tanto che la mozzarella blu diventa nell’immaginario collettivo un simbolo negativo al pari della mucca pazza. Pochi hanno scritto che il problema della colorazione anomala si è ripetuto almeno una decina di volte nelle settimane successive, su lotti di mozzarella italiana confezionata con latte locale.

Il problema della mancanza di una cabina di regia non riguarda solo i grandi scandali alimentari, ma anche le questioni più semplici come le allerta, il richiamo o il ritiro dei prodotti alimentari. La questione interessa sia le grandi aziende come Barilla, Mars, Coca-Cola, Parmalat…, sia le catene di supermercati che commercializzano migliaia di prodotti con i propri marchi (Esselunga, Coop, Carrefour, Auchan, Conad, Lidl, Eurospin…), sia le piccole e medie aziende. Secondo stime attendibili e sulla base dell’esperienza maturata, ogni anno in Italia vengono ritirati dagli scaffali dei negozi almeno 1.000 prodotti alimentari. Nel 20% dei casi si tratta di alimenti che possono nuocere alla salute dei consumatori e per questo motivo scatta l’allerta.

Da gennaio il Ministero della salute ha iniziato a pubblicare sul proprio sito l’elenco dei prodotti ritirati dal mercato italiano, ma la lista non è completa e a tutt’oggi il sistema è farraginoso. Il risultato di questa politica è che nessuno conosce il numero dei ritiri e dei richiami portati avanti da supermercati e punti vendita.

“Scaffali in allerta”: cosa succede in caso di Allerta alimentare

Queste sono solo alcune delle più note vicende di allerta alimentare che hanno investito l’Italia negli ultimi anni. Per aiutare consumatori e azienda a districarsi, Il Fatto Alimentare ha pubblicato online il primo libro sui ritiri alimentari: “Scaffali in allerta”, scritto da Roberto La Pira. Che cosa succede quando un prodotto non è adatto alla vendita e viene ritirato dal mercato? Il volume descrive una dozzina di casi dove si è registrata la revoca dell’allerta che hanno coinvolto grandi e piccole aziende, situazioni in cui si è finiti in tribunale per errori, talvolta chiedendo rimborsi milionari.

I lettori che hanno fatto una donazione riceveranno in omaggio il libro “Scaffali in allerta”, scrivendo in redazione all’indirizzo ilfattoalimentare@ilfattoalimentare.it

Scaffali in allerta” di Roberto la Pira – 169 pagine – Editore: Il Fatto Alimentare – maggio 2017

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Costante
Costante
22 Maggio 2017 14:33

Esistono regole precise sulle allerte alimentari, sui ritiri, sui richiami e le responsabilità di chi fa che cosa , Bisogna che ciascun anello della catena produttiva e di controllo le segua scrupolosamente senza creare
allarmismi, senza spargere panico soprattutto fra i non addetti ai lavori e con le corrette informazioni ai consumatori. Talvolta anche i protagonismi di laboratori ufficiali, di autorità sanitarie non ben addestrate e di organi di informazione più o meno specializzati creano allarmismi ingiustificati e gravissimi danni.

Antonio Bologna
Antonio Bologna
22 Maggio 2017 18:56

Non dimenticherò mai una trasmissione Rai nella quale autorevoli rappresentanti istituzioni dissero che i prodotti agricoli biologici possono esse più pericolosi per la salute dei prodotti convenzionali. Ieri ho letto una ricerca medica che il Parkinson aumenterà del 50% entro pochi anni, che i quattro principali tumori hanno avuto un incremento di quattro volte rispetto il 1995. Sentendo alcuni medici ho ottenuto l’informazione che casi di intolleranze e allergie, negli ultimi anni stanno raddoppiando di anno in anno. A mio parere il paradosso é che basterebbe relativamente poco per correggere il problema che ha solo il difetto di sembrare invisibile o opinabile.
Cambiare via riguardo informazione, controllo, qualità, naturalità, rispetto ambientale sarebbe più intelligente, qualitativo e remunerativo.