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Il latte biologico diminuisce certamente il rischio di malattie cardiovascolari

Il latte biologico diminuisce certamente il rischio di malattie cardiovascolari”. Questa la conclusione, molto netta, di uno studio di confronto tra latte intero tradizionale non biologico e latte biologico per quanto riguarda il contenuto in acidi grassi, appena pubblicato su PLoS One.

 

Gli autori, ricercatori del Washington State University’s Center for Sustaining Agriculture and Natural Resources (CSANR), hanno infatti analizzato 384 campioni di latte intero sia biologico sia convenzionale, nell’arco di 18 mesi, e hanno scoperto che, a parità di acidi grassi totali, rispetto al latte normale, il primo contiene più omega-3 (+65%), considerati amici del cuore e presenti, per esempio, nel pesce, e meno omega-6 (-25%), contenuti nelle patatine fritte e in altri alimenti poco sani. Queste differenze fanno sì che il rapporto tra i due, ritenuto il parametro fondamentale, sia 2,28, e cioè un valore molto più vicino a quello considerato ideale (2,3) rispetto a quello del latte convenzionale (pari a 5,77).

 

Secondo molti studi la dieta occidentale tipica ha un rapporto compreso tra 10 e 15 a 1 quando il valore ideale dovrebbe essere di 2,3 a 1. Il maggiore contenuto in acidi grassi omega-3 del latte biologico è dovuto al fatto che, le mucche devono pascolare all’aperto mangiando erba e foraggi non trattati, mentre gli animali destinati a produrre latte per le lavorazioni industriali di solito vivono quasi tutta la vita al chiuso, nutrendosi di mangimi preparati secondo specifiche miscele, che non riescono a fornire un così alto contenuto in omega-3.

 

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Aparità di peso, il latte normale ha una quantità di acidi grassi omega-3 che è nove volte superiore rispetto al pesce

Per far capire il potenziale del latte biologico, gli autori hanno realizzato un importante confronto con il pesce. Le conclusioni sono chiare, chi beve ogni giorno la quantità consigliata di latte biologico (tre tazze) assume una quantità di omega-3 maggiore rispetto a quella presente nella razione di pesce prevista nelle tabelle nutrizionali. A parità di peso, il latte normale ha una quantità di acidi grassi omega-3 che è nove volte superiore rispetto al pesce, e il latte bio arriva a un rapporto di 14 a 1.

 

Non contenti, gli autori hanno provato a ipotizzare un cambiamento di dieta di una donna occidentale. Premesso che normalmente si assumono alimenti in grado di dare un rapporto tra acidi grassi omega-6 e omega-3 pari a 11,3 il problema è come ridurre il valore a 2,3. La ricerca dimostra che il 40% di questo calo di cinque punti si potrebbe ottenere aumentando il numero di porzioni giornaliere di latte o prodotti caseari (purché tutti a pieno contenuto di grassi e biologici) dalle tre consigliate alla media della popolazione a 4,5. Anche solo rinunciando ogni giorno a qualche alimento ricco in omega-6, le stesse donne potrebbero ottenere un valore di 4,80 abbastanza vicino a quello ideale.

 

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Lo studio è stato finanziato da una delle più grandi associazioni di produttori del biologico americane

Ma non tutti gli esperti concordano sul fatto di avere come obiettivo la riduzione degli omega-6 a favore degli omega-3. Secondo Walter Willet della Harvard School of Public Health, l’assunto secondo il quale gli omega-6 sono nocivi è semplicemente falso (in verità sarebbe valido l’esatto contrario) e il rapporto con gli omega-3 irrilevante ai fini della prevenzione cardiovascolare. C’è di più, moltissimi adulti vivono senza latte e latticini e mantengono la salute. Altri esperti mettono in luce come il confronto con gli acidi grassi del pesce non sia corretto, perché anche se appartengono alle stesse classi di omega-3, si tratta di molecole diverse.

 

Le perplessità insomma non mancano, come accade quasi sempre quando si parla di acidi grassi, ma resta il fatto che il rapporto tra omega-6 e omega-3 nel latte bio è molto diverso da quello che accade nel latte convenzionale.

 

Va tenuto infine presente che gli autori hanno condotto questo studio su richiesta di una delle più grandi associazioni di produttori del biologico americane, la Organic Valley, che ha chiesto loro di condurre un’indagine indipendente sulla composizione del latte biologico e tradizionale, prodotto nelle stesse zone. A tale scopo i ricercatori hanno avuto un finanziamento di 45.000 dollari dalla stessa associazione, per eseguire i test del caso, e ricevuto poi anche dall’Università altri 90.000 dollari, per completare gli studi e pubblicare i risultati.

 

Agnese Codignola

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Stefano Mariotti
12 Dicembre 2013 21:29

Ancora una ricerca che tira l’acqua al mulino di turno: stavolta tocca al biologico. Chi sa come stanno le cose conosce quali fattori influenzano positivamente il profilo dei nutrienti nobili del latte e dei suoi derivati: il pascolo e i foraggi polifiti; eventualmente qualche integrazione di semi di lino.
Il biologico, di per sé, non è un fattore che possa dare certi risultati: insilati di mais bio? Unifeed bio? Integratori e mangimi bio? Non è quella la strada. Leggere per credere: http://www.qualeformaggio.it/il-formaggio-che-vogliamo/26/2195

ezio
ezio
18 Dicembre 2013 11:06

Senza posizioni ideologiche, ma solamente la considerazione di fondo che nell’allevamento biologico le caratteristiche vantaggiose sono basilari, tradizionali ed alternative al metodo convenzionale moderno, non è sufficente a chi sa come stanno le cose, per schierarsi e prendere posizione netta contro gli allevamenti al chiuso con mangimi?

Stefano Mariotti
Reply to  ezio
18 Dicembre 2013 12:36

Dare insilati (in Italia si usa molto il mais) o unifeed biologici (cereali, leguminose, spesso soia ogm) è assai peggio che non portare gli animali al pascolo, o alimentarli con foraggi polifiti nella stagione avversa. La differenza si esprime nell’ambìto dei micronutrienti nobili (Cla, Omega3, betacarotene, vitamine). Le risorse sono nell’erba: tanto più ricca sarà la sua varietà tanto maggiore sarà il valore (nutrizionale e gustativo) del prodotto. Non per niente Italia centrale gli intenditori cercavano il “formaggio maggengo” (dei pascoli fioriti); non a caso i grandi formaggi d’alpeggio arrivano da quote oltre i 1.000 mt slm

Costante P.
Costante P.
18 Dicembre 2013 15:22

Anche tagliando a metà fra le opposte opinioni dei ricercatori, lo studio ha preso in considerazione la differenza di spesa di un consumatore fra le due proposte : biologico e commerciale? Forse non c’è interesse a farlo sapere ai fan del Biologico.

Costante P.
Costante P.
18 Dicembre 2013 15:35

Ad integrazione del mio intervento precedente devo onestamente dire, per esperienza personale peraltro oggetto di pubblicazione scientifica, anche con una particolare dieta unifeed, e con costi non insopportabili, gli allevamenti da latte possono produrre un latte anche più ricca di un’alimentazione al pascolo, in particolare per il contenuto in CLA ed anche in omega 3

Stefano Mariotti
Reply to  Costante P.
18 Dicembre 2013 16:08

Le sarei grato se lei potesse permettermi di accedere alla pubblicazione scientifica a cui si riferisce, giusto per fargli dare un’occhiata a chi studia da trent’anni della indiscussa superiorità del pascolamento su ogni altro metodo di allevamento. Ricordiamocelo: le vacche sono erbivori

Roberto Rubino
Roberto Rubino
19 Dicembre 2013 08:40

Quando era un giovane ricercatore, il nostro professore di Statistica ci teneva allegri raccontando la barzelletta del ricercatore che , alla fine di complessi calcoli, aveva concluso che il numero di incidenti mortali che avvenivano ogni anno in Gran Bretagna era strettamente correlato ai Km di autostrada negli Stati Uniti. Sembrava una battuta, invece spesso, troppo spesso i ricercatori arrivano a conclusioni analoghe. Nel caso in discussione un gruppo di ricercatori ha esaminato campioni di latte biologico ed ha concluso che il rapporto omega6/omega 3 è quasi perfetto: 2,28 invece che 2,3. A parte l’ affermazione astrusa che il rapporto perfetto è 2,3, ma nel campo della ricerca , quando si elabora una teoria, quando cioè si individua la causa, gli effetti devono essere sempre gli stessi, in qualunque parte del mondo. E’ deve essere vero anche il contrario. E’ la seconda regola di Newton. Questi ricercatori hanno preso una serie di campioni di latte biologico. Domanda: gli animali erano tutti nelle stesse condizioni? Mangiavano tutti la stessa razione alimentare? Noi sappiamo che questo rapporto è influenzato esclusivamente dalle erbe che l’animale mangia? Tutti gli allevamenti del mondo mangiano la stessa razione? Tutti gli animali tenuti in sistema biologico utilizzano gli stessi alimenti? Nel caso in questione si doveva concludere dicendo che quel tipo di alimentazione influenzava il rapporto omega6/omega3 e non il sistema nella sua totalità.Insomma, non è il biologico a dare quel risultato bensì que sistema alimentare.
Aggiungo che questo rapporto, negli animali al pascolo, oscilla intorno a 1. Dovrei dedurre che questo dato è negativo, visto che si allontana da 2,3.
Ci consola sapere che questi studi non si fanno in Italia

ezio
ezio
Reply to  Roberto Rubino
19 Dicembre 2013 12:03

Sono d’accordo su tutto, salvo un’omissione penso pregiudiziale, quando lei conclude:
“Nel caso in questione si doveva concludere dicendo che quel tipo di alimentazione influenzava il rapporto omega6/omega3 e non il sistema nella sua totalità.Insomma, non è il biologico a dare quel risultato bensì quel sistema alimentare.”
Più correttamente, per non omettere una caratteristica essenziale di quella ricerca, doveva concludere, con l’affermazione condivisibile, che non è solamente il biologico a dare quel risultato, bensì quel sistema biologico alimentare.
Perché le vacche in questione sono state alimentate al pascolo con erba e fieno biologici, che non sono la stessa cosa di erba e fieno trattati e conservati con prodotti chimici di sintesi.

Roberto Rubino
Roberto Rubino
20 Dicembre 2013 08:23

MI dispiace ma non è così. Se l’autore voleva accertare, come afferma lei, che le vacche alimentate con erbe e fieni biologici producevano un latte diverso da quello di vacche alimentate in condizioni non biologiche doveva mettere a confronto i due sistemi di allevamento nelle stesse condizioni ambientali. Non solo. Ma non si doveva limitare a studiare il solo rapporto omega6/omega3, ma anche il GPA(grado di protezione antiossidante), un indice questo che meglio di altri ci permette di cogliere la complessità della qualità del latte. Invece hanno preso dei campioni di latte di animali alimentati in biologico ed hanno analizzato solo due molecole, concludendo che il biologico fa bene al cuore. Forse al loro, per aver prodotto una pubblicazione scientifica!